Le strutture e le dinamiche reddituali delle imprese milanesi nel triennio 2008-2010
Rapporto di ricerca a cura dell'Osservatorio Assolombarda Bocconi.
Executive Summary
Le vicende economiche internazionali e nazionali che abbiamo vissuto a partire dal 2000 (dalla dotcom bubble alla crisi dei subprime, sino al rischio di default dei Paesi dell’eurozona), nonché gli scenari ipotizzabili per il prossimo futuro, ci impongono di riflettere sulle problematiche di governo delle imprese che si trovano o si potrebbero trovare in difficoltà reddituali, patrimoniali o di solvibilità. Tradizionalmente gli studi di economia e di management si svolgono alla ricerca delle condizioni di prosperità e di sviluppo delle imprese e dei loro aggregati; così, si cerca di individuare i casi di successo e li si analizza per trarne idee e insegnamenti utili per la generalità delle imprese. Oggi è importante cercare di capire anche se e dove si manifestano sistematiche aree di sofferenza o di fragilità delle imprese e imparare dallo studio di queste situazioni di crisi e di difficoltà.
A livello macro stiamo imparando che si possono manifestare improvvisamente shock economici di grande intensità che quasi istantaneamente si propagano su scala planetaria. Shock economici che si ripetono anche a distanza ravvicinata, che in parte possono riassorbirsi abbastanza rapidamente, ma che in ogni caso lasciano lunghe e profonde tracce di distruzione economica; per certi versi ancora più preoccupante, shock che rimangono in larga misura inspiegati. A livello aziendale ci si domanda che fare: iniettare risorse per rafforzare la solidità, oppure vendere tutto e lasciare il campo? proseguire nella esternalizzazione per rendere ancora più flessibile la struttura, oppure integrarsi a monte e a valle per ridurre la dipendenza dai fornitori e dai clienti? chiedere allo Stato di origine qualche forma di protezione e di incentivo, oppure delocalizzare e trasferirsi in paradisi fiscali? formare aggregazioni ed alleanze per mitigare la concorrenza, oppure investire per battere la concorrenza? trascurare i business tradizionali e diversificare in business esotici, oppure focalizzarsi e fare sempre meglio ciò che si sa già fare benissimo? nei prossimi anni dovremo predisporre più versioni del budget del tipo “realistico”, “pessimistico” e catastrofico”?
Per fornire qualche primo contributo di conoscenza e di indirizzo abbiamo condotto una ricerca sulle strutture e sulle dinamiche reddituali dell’universo delle 2.980 imprese manifatturiere dell’area milanese con almeno 10 dipendenti e coprendo l’arco temporale 2008-2010. Le circa 3.000 aziende indagate sono una buona base di studio poiché costituiscono un insieme chiaro e compatto e, contemporaneamente, al proprio interno presenta significativi spaccati per settore merceologico, per dimensione, per proprietà (italiana o di multinazionale estera) e per grado di internazionalizzazione. Inoltre, ove possibile, tutti i dati elaborati sono stati confrontati con i risultati di analisi di bilancio analoghe condotte da Mediobanca e Prometeia.
Il periodo 2008-2010, dal punto di vista della ricerca, fornisce una situazione “da laboratorio” poiché in un arco temporale breve sono contenute una profonda crisi e una sostanziale ripresa che hanno coinvolto contemporaneamente tutte le imprese di tutto il mondo; diventa così possibile verificare se e come differenti tipi di imprese hanno risposto in modo differente ad uno stesso pacchetto di stimoli.
Ci siamo posti cinque insiemi di domande.
(1) Quante delle 2.980 imprese analizzate sono sistematicamente in perdita nel periodo 2008-2010? Le aziende sistematicamente in perdita sono concentrate in particolari classi per dimensione, proprietà, settore, grado di internazionalizzazione?
(2) Come si presenta la struttura del “conto economico” dell’insieme delle 2.980 imprese? Prevalgono i costi fissi o i costi variabili? Qual è, di conseguenza, la capacità di risposta alla eventuali forti contrazioni ed espansioni di fatturato?
(3) Qual è la situazione in termini di grado di saturazione della capacità produttiva? Quanto sono vicine o lontane le imprese dal punto di pareggio (break-even)? Quante sono sotto break-even? Quante appena sopra e quante in zona di sicurezza?
(4) Che cosa è successo alle nostre imprese nel periodo 2008-2010? Come sono variati il fatturato, il reddito operativo e il reddito netto? Nel triennio, le imprese hanno modificato le loro strutture dei costi?
(5) Sulla base degli indicatori reddituali e patrimoniali standard, quale sarebbe il rating delle nostre aziende? Quante risultano assolutamente solide e quante si devono considerare insolventi?
La quota di imprese che nei tre anni fa registrare sempre una perdita è notevole superando il 10%; le dimensioni, la proprietà e il grado di internazionalizzazione non fanno grandi differenze, che invece emergono dalle analisi per settore; in un paio di settori si arriva al 20% circa. Complessivamente il periodo 2008-2010 è un periodo difficile, e i dati disegnano un quadro non positivo. Si noti che qui si trascurano i casi delle imprese che nel triennio sono uscite di scena per difficoltà economiche.
Le 2.980 imprese manifatturiere milanesi presentano un conto economico complessivo nettamente dominato dai costi variabili (80%) rispetto ai costi fissi (20%); sono percentuali da interpretare, ma ci dicono in modo molto chiaro che le nostre imprese hanno esternalizzato fortemente molte attività sia di fabbricazione sia di altro tipo (servizi, logistica, informatica, ecc.). La struttura dei costi è dunque molto flessibile; ciò comporta vantaggi nei periodi di congiuntura sfavorevole poiché si contengono le perdite, ma nei periodi di crescita sono gli utili ad essere contenuti impedendo così l’accumulo di risorse necessarie per lo sviluppo.
Le dinamiche dei ricavi, dei costi e dei risultati reddituali nel triennio 2008-2010 appaiono particolarmente interessanti. Nel loro insieme le 2.980 imprese passando dal 2008 al 2009 hanno perso il 17,4% del fatturato, ma passando dal 2009 al 2010 hanno registrato una crescita del 13,6%. Il fatturato del 2010 fa registrare un importante recupero, ma rimane del 6% inferiore a quello del 2008. Nonostante ciò il reddito netto complessivo del 2010 (2.507 milioni) è nettamente più elevato rispetto a quello del 2008 (1.822 milioni). Evidentemente le imprese non hanno subito passivamente la crisi. I dati ci dicono che sono stati ridotti sia i costi fissi sia i costi unitari variabili; inoltre, le imprese hanno beneficiato di gestioni finanziarie e straordinarie positive e il risultato finale è, nel 2010 rispetto al 2008, un utile netto più elevato nonostante il fatturato più basso. Sembra abbastanza chiaro che, sempre in generale, le imprese manifatturiere milanesi sono riemerse dalla crisi con una struttura di costi più efficiente rispetto a quella preesistente. Queste dinamiche generali mostrano varianti importanti quando si confrontano le varie classi di imprese; sono particolarmente evidenti le differenze tra settori merceologici.
L’analisi dei dati relativi al punto di equilibrio (break-even point) conferma quanto richiamato nei punti precedenti. In generale, l’insieme delle imprese si trova poco sopra il punto di equilibrio; fatto 100 il fatturato di punto di equilibrio (il fatturato necessario per ottenere un reddito pari a zero prima degli oneri finanziari e delle tasse), il fatturato effettivo è mediamente pari a 125. L’analisi per settori merceologici ci mostra una distribuzione ampia, che va (nel 2010) da 158 (58% sopra il break-even) a 85 (15% sotto il break-even).
Per ciascuna delle 2.980 imprese è stato calcolato lo “scoring finanziario” (ossia il merito creditizio di medio-lungo periodo) utilizzando gli indicatori usuali relativi a: gli indici di capitalizzazione, di indebitamento e di liquidità; i tassi di variazione del fatturato e della redditività; l’indice di investimento in R&S. Complessivamente il merito di credito non risulta particolarmente elevato; circa il 38% delle imprese ottiene uno scoring alto o molto alto e il rimanente 62% si distribuisce nelle classi di scoring medio, basso e molto basso.
In estrema sintesi, i dati ci dicono che nel periodo considerato (un periodo speciale, ma caratterizzato da dinamiche che potrebbero ripetersi): (a) la redditività media è piuttosto bassa, con un significativo numero di imprese costantemente in perdita; (b) anche il merito creditizio è mediamente piuttosto basso; (c) le imprese hanno strutture di costo molto flessibili. Le strutture di costo molto flessibili, come già osservato, proteggono da perdite particolarmente forti, ma limitano la capacità di reddito nei periodi di congiuntura favorevole.
Tutte le analisi di cui sopra sono state condotte sia a livello aggregato delle 2.980 imprese, sia distinguendo le stesse per settore merceologico, per classi dimensionali, per proprietà e per grado di internazionalità. Da queste analisi comparate per sottoinsiemi emerge una considerazione importante che si può sintetizzare nel modo seguente: (i) le comparazioni per dimensione, per proprietà e per grado di internazionalizzazione mostrano differenze significative ma non profonde; (ii) le differenze sostanziali emergono dalle comparazioni per settori merceologici; (iii) così stando le cose, ne consegue che i capi impresa dovrebbero concentrare la loro attenzione proprio sul loro posizionamento nell’arena competitiva compiendo drastiche mosse che tolgano l’impresa dai segmenti della filiera che sembrano condannare a redditività insoddisfacenti per riposizionarsi in altri segmenti della filiera; (iv) a prescindere dai settori, che sono interessati da differenze strutturali anche nella redditività, sembra emergere che a fare la differenza sia in realtà la gestione aziendale dei singoli imprenditori.
Contatti
Per ulteriori informazioni è possibile contattare Valeria Negri (valeria.negri@assolombarda.it. tel. 0258370.408) dell'Area Centro Studi.
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