Indagine sul mercato del lavoro nell'Area Milanese
Sintesi dei risultati.
1.1 La forza di Milano nella sua forza lavoro
1.2 L’occupazione tiene ancora
1.3 La gestione degli organici in tempi di crisi
1.4 Diminuiscono le ore lavorate
1.5 Gli stipendi rimangono fermi
1. I risultati in sintesi
L’attrattività economica e la competitività internazionale dell’Area Milanese (le province di Milano, Lodi e Monza Brianza, territorio di competenza di Assolombarda) continuano ad appoggiare su pochi ma sicuri punti di forza: sul fronte del mercato del lavoro questi sono la concentrazione di risorse ad elevata qualificazione, l’ampia e qualificata partecipazione femminile, la forte scolarizzazione della forza lavoro, l’investimento sull’occupazione giovanile.
Ma in un Paese che annaspa per una recessione di cui sembra non si veda la fine - e nel 2012 ha anzi vissuto un secondo ciclo recessivo - anche la sua area economica più avanzata comincia a mostrare segni di sofferenza. Nel 2012 il mercato del lavoro milanese riesce ancora a rimanere in precario equilibrio (+0,2% di occupati) pareggiando il saldo tra uscite e entrate, grazie al settore dei servizi che assorbe le fuoruscite del manifatturiero e le grandi imprese che compensano le perdite occupazionali delle aziende di piccole e medie dimensioni.
Il mix di leve strategiche utilizzate dalle aziende per adeguare la forza lavoro all’incertezza della domanda è ampio e diversificato: aumento della flessibilità intrinseca dei nuovi posti di lavoro, blocco del turnover dei lavoratori con contratto a termine, ricorso intensivo agli ammortizzatori sociali, riduzioni concentrate soprattutto nell’ambito delle funzioni manageriali.
Non ha certo giovato - soprattutto in una così difficile fase congiunturale - da un lato l’introduzione della riforma delle pensioni che ha finito per inceppare il meccanismo di naturale ricambio generazionale, dall’altro quella del mercato del lavoro che ha disincentivato la creazione della forma di lavoro più possibile in periodi di incertezza, quello flessibile.
Nel 2012 sono diminuite le ore lavorate (e questo ha contribuito al riequilibrio del sistema senza espulsioni di lavoratori, ma con effetti negativi sulla produttività), in parte come conseguenza dell’intenso ricorso agli ammortizzatori sociali, in parte per l’aumento delle assenze (tranne quelle per infortunio, che diminuiscono).
In questa fase di difficoltà per le imprese, in cui l’occupazione è stata comunque salvaguardata, le retribuzioni sono cresciute meno del tasso d’inflazione; le politiche retributive sono state realizzate soprattutto su base variabile.
1.1 La forza di Milano nella sua forza lavoro
L’Area Milanese rappresenta indubbiamente il motore dell’economia italiana. E’ qui che gran parte delle imprese multinazionali trovano la naturale porta di accesso al nostro Paese, soprattutto grazie alle caratteristiche di eccellenza e qualità delle risorse umane presenti.
Per tratteggiare l’identikit della forza lavoro bisogna necessariamente partire dalla concentrazione di “colletti bianchi” (dirigenti, quadri e impiegati) che rappresentano il 78% degli addetti alle dipendenze.
Il secondo fiore all’occhiello di Milano è la partecipazione femminile che si colloca ai livelli delle più avanzate aree economiche: nel 2012 la quota di donne sul totale del personale è risultato pari al 36%. Non solo una quota elevata per gli standard del nostro Paese, ma anche in ulteriore crescita rispetto al 2011. Inoltre la presenza di donne si rafforza soprattutto tra le qualifiche più elevate, raggiungendo il 18% tra i dirigenti e il 29% tra i quadri.
Terzo, l’Area Milanese si caratterizza per la concentrazione di personale high skilled. Un terzo dei dipendenti è laureato, per metà con competenze in materie scientifiche. Il 2012 ha visto crescere l’importanza relativa dei laureati triennalisti.
Quarto, l’investimento sui giovani testimoniato dal crescente - ancorchè non ancora delle dimensioni auspicabili - ricorso al contratto dell’apprendistato: nel 2012 si è ampliato il numero di imprese che hanno inserito giovani apprendisti in organico e rispetto al 2011 è praticamente raddoppiato il peso di questa forma contrattuale sul totale del personale. Il maggior ricorso all’apprendistato è avvenuto a scapito dell’altro strumento di accesso al mercato del lavoro per le fasce più giovani, il contratto di inserimento che - abrogato dalla Riforma dall’1 gennaio 2013 - già nel 2012 si è ridotto fino quasi a sparire.
1.2 L’occupazione tiene ancora
Nel 2012 la disoccupazione ha superato ogni record: 10,7% in Italia, persino Milano ha raggiunto il tasso del 7,8%. D’altra parte la ripresa tarda ad arrivare e, senza crescita, il mercato del lavoro non inverte la tendenza.
Pur in questo contesto difficile in cui le imprese si trovano ad operare, nell’Area Milanese il saldo occupazionale è risultato praticamente nullo: il +0,2% rilevato dall’indagine è in linea con le statistiche ufficiali condotte sull’offerta di lavoro delle famiglie che nel 2012 hanno rilevato una sostanziale tenuta dell’occupazione a fronte di un aumento dei disoccupati alla ricerca di un lavoro.
Saldo zero non significa che il sistema sia immobile: al suo interno si registra un trend occupazionale opposto tra le imprese di micro e piccola dimensione, soprattutto manifatturiere, rispetto a quelle di maggior dimensione e quelle dei Servizi. Nell’Area Milanese è l’economia nel suo insieme che ancora riesce ad opporre una strenua resistenza alla prolungata stagnazione dei mercati; lo fa grazie soprattutto alla sua maggiore apertura ai mercati internazionali.
In questo quadro è difficile dare una valutazione attendibile della riforma del mercato del lavoro, sia perché è stata introdotta solo a luglio, sia perché il contesto economico non è il più favorevole per mettere alla prova le sue presunte possibilità taumaturgiche di “produrre” posti di lavoro.
Le imprese che nel 2012 hanno utilizzato le forme di flessibilità interessate da novità normative sono un’ampia fetta di quelle che hanno risposto: l’82%. A questa percentuale contribuisce principalmente l’ampia diffusione di 2-3 tipologie contrattuali: le collaborazioni a progetto e il tempo determinato, in primis, mentre altre come staff leasing, contratto di lavoro intermittente, associazione in partecipazione, contratto di lavoro occasionale/accessorio sono pochissimo utilizzate.
D’altra parte il 95% del personale alle dipendenze nelle nostre imprese è in forza con contratto a tempo indeterminato e il restante 5% ha buone probabilità di vederselo convertito nel giro di qualche tempo. In questo territorio e nei settori esaminati - l’industria e i servizi alle imprese, escluso il comparto pubblico - “flessibilità” non fa certo rima con “precarietà”.
1.3 La gestione degli organici in tempi di crisi
Come le imprese hanno gestito l’emergenza occupazione? Utilizzando diverse leve strategiche.
Innanzitutto sono stati ridotti gli inserimenti in organico in ruoli permanenti. Nel 2012 le imprese hanno ridotto la quota di assunzioni a tempo indeterminato (che rimangono pur sempre la metà di quelle totali) e pure ridimensionato la quota di contratti convertiti da una forma a termine (a tempo determinato, di inserimento, di apprendistato) al tempo indeterminato: il tasso di conversione è sceso al 33% dal 41% dell’anno precedente.
Il numero di posti di lavoro stabili o “stabilizzabili”, quindi, si è ridotto dai 73 del 2011 ai 67 del 2012.
In secondo luogo, i contratti a termine non trasformati non sono stati rinnovati una volta giunti alla loro naturale scadenza: causa la congiuntura non favorevole, certo, ma non ha sicuramente giovato l’introduzione di una serie di vincoli e limitazioni all’utilizzo di alcune e forme di flessibilità (il contratto a termine, il contratto a progetto, ecc.).
Un terzo fattore di riequilibrio sono state le dimissioni, che nel contesto milanese rimangono, nonostante il momento difficile, la principale causa di interruzione del rapporto di lavoro: un canale di uscita fisiologico per un mercato che conserva quindi una sua dinamicità.
Tra le leve a disposizione è invece venuta meno quella legata ai pensionamenti, i cui flussi di uscita si sono infatti ridotti sensibilmente. Anche in questo caso una riforma, quella delle pensioni, rischia di inceppare i meccanismi di funzionamento del mercato, quantomeno in questa prima fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema. Appare quindi utile, per favorire il normale ricambio anagrafico, la proposta avanzata da Assolombarda sul ponte generazionale con l'obiettivo di coniugare l’accompagnamento alla pensione dei lavoratori più maturi con l’ingresso di giovani in azienda.
Ai licenziamenti, la più traumatica tra le leve a disposizione, le imprese hanno fatto ricorso meno frequentemente. E anche in questi casi i dati dimostrano che gli interventi di riequilibrio sono stati mirati, interessando soprattutto i quadri dirigenziali: infatti il peso del personale dirigente sulla struttura per qualifica è crollato dal 9% del 2011 al 5% del 2012, quasi dimezzandosi.
Infine, la leva degli ammortizzatori sociali. Tutte le difficoltà e le tensioni vissute dal mercato del lavoro nel 2012 diventano evidenti guardando all’ampio utilizzo di ore di Cassa Integrazione Guadagni. Non è tanto la quota di imprese ad espandersi (quelle interessate rimangono il 17% di quelle indagate, come nel 2011), quanto il ricorso a farsi più intenso: dalle 23 ore utilizzate per dipendente si è passati alle 28 del 2012, con un incremento quindi del 22%.
1.4 Diminuiscono le ore lavorate
L’equilibrio del sistema, raggiunto senza riduzione dell’occupazione, è stato assicurato anche dalla riduzione delle ore lavorate per dipendente, scese dalle 1.567 del 2011 alle 1.563 del 2012.
Il monteore lavorato è diminuito non solo in conseguenza dell’intenso ricorso agli ammortizzatori sociali, ma anche per l’aumento delle assenze: l’indicatore è salito al 6,7%, dal 6,3% del 2011.
Cresce il numero di ore di assenza per malattia, mentre va valutato positivamente l’andamento in controtendenza delle ore perdute per infortunio.
1.5 Gli stipendi rimangono fermi
La retribuzione media, comprensiva di parte fissa e parte variabile, nell’Area Milanese raggiunge i 39.000 euro, e varia tra i 27.500 euro degli operai, i 37.000 degli impiegati e i 62.000 dei quadri. I dirigenti sfiorano in media i 130.000 euro lordi annui.
Nel 2012 la recessione ha ampiamento condizionato la misura degli interventi di politica retributiva: salari e stipendi del personale non dirigente sono cresciuti mediamente del 2% (+1,5% quadri, +1,8% impiegati, +2,7% operai), quindi meno dell’inflazione (3% nel 2012). Anche per i dirigenti gli aumenti si collocano mediamente sull’1,5%.
Prende piede la retribuzione variabile. Aumenta la sua diffusione tra le imprese (erogazioni in forma variabile sono presenti nel 62% delle imprese, in lieve crescita rispetto al 61% registrato nel 2011), diventa più selettiva (la quota di lavoratori coinvolti scende dal 70 al 67%), “pesa” di più sulle retribuzioni (in media - tra chi lo percepisce - vale il 7,5% della retribuzione lorda annua, contro il 6,6% del 2011).
Sarà perché, come dimostra uno studio condotto con avanzate tecniche statistiche proprio sui dati raccolti dall’indagine negli anni scorsi, la scelta si rivela un buon affare per le imprese: l’introduzione di premi variabili risulta infatti avere un effetto positivo sulla redditività aziendale.
Quello che emerge dall’analisi è che il buon affare lo fanno anche i lavoratori: i dati esaminati confermano che la parte variabile va ad aggiungersi alla parte fissa dello stipendio; anzi, le imprese che erogano premi variabili risultano le stesse che pagano le parti fisse più elevate.
Contatti
Il rapporto completo è disponibile in formato elettronico e può essere acquistato direttamente tramite il sito di Assoservizi, al seguente indirizzo: http://www.assoservizi.it/indagine/.
Per ulteriori informazioni sull'indagine è possibile contattare l'Area Centro Studi, tel. 0258370.328/300, e-mail stud@assolombarda.it.
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