I numeri da cambiare Comunicato stampa

I numeri da cambiare

Scuola, università e ricerca: l'Italia nel confronto internazionale.

Milano, 21 ottobre 2013 - Capitale umano per la competitività: potrebbe riassumersi così il messaggio-chiave emerso dal convegno di presentazione della ricerca “I numeri da cambiare”, promosso da Associazione TreeLLLe e Fondazione Rocca, in collaborazione con Assolombarda. All’incontro tenutosi presso la sede degli imprenditori milanesi sono intervenuti, tra gli altri, l’Assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia, Valentina Aprea e il Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Marco Rossi Doria.

L’Associazione TreeLLLe e la Fondazione Rocca con la ricerca “I numeri da cambiare” intendono evidenziare i ritardi e le anomalie del nostro sistema educativo, mettendo a confronto vari indicatori chiave con i dati medi europei e con quelli dei paesi più grandi e avanzati dell’occidente, paesi con i quali il nostro sistema è chiamato a competere (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti d’America).

“Numeri da cambiare perché il nostro sistema educativo, nel suo complesso, non è ancora in linea con quelli dei paesi competitor e occorre intervenire con coraggio e determinazione per un suo riallineamento strategico. Tuttavia - ha dichiarato Gianfelice Rocca, Presidente di Assolombarda e della Fondazione Rocca -  non mancano esempi virtuosi. La Lombardia, per esempio, è la migliore regione italiana nelle classifiche OCSE-PISA sulla qualità degli apprendimenti in matematica dei ragazzi di 15 anni e si è allineata ai punteggi tedeschi. Quello universitario e della ricerca, poi, è a Milano e in Lombardia, un sistema di elevata qualità, molto competitivo sia a livello nazionale che internazionale. Nel primo 10% degli istituti di ricerca censiti a livello mondiale da Scimago per il loro impatto scientifico figurano 16 istituzioni italiane, tra cui 10 lombarde. Anche sul piano dell’apertura internazionale, le università italiane stanno facendo passi avanti: tra il 2004 e il 2008 gli studenti provenienti dai paesi “BRIC+5” (Brasile, Russia, India, Cina, Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, USA) sono cresciuti del 92%. In Lombardia nell’ultimo quadriennio il numero di studenti stranieri è cresciuto del 38%, arrivando a quota 16.500. Ma tutto questo non basta”.

Oggi nell’economia mondiale tutto è sempre più mobile. Ma la risorsa realmente radicata in uno stato e prima fonte della sua ricchezza è la sua popolazione con il suo livello di “capitale umano” e “capitale sociale”.

20131021_numeri_4Purtroppo la ricerca evidenzia che il livello della nostra popolazione, in termini di titoli di studio, è basso: nel 2010, il 45% della popolazione (25-64 anni) non aveva un titolo di scuola secondaria superiore, mentre nell’UE-19 era solo il 26% (vedi indicatore 4). Inoltre, nella recentissima indagine comparata tra diverse nazioni sulle competenze funzionali degli adulti dell’OCSE (PIAAC 2012, vedi slide 5), l’Italia è al ventiquattresimo posto su una classifica di 24 paesi! Infine, secondo l’indagine PISA dell’OCSE sulle competenze di literacy e numeracy dei 15enni, l’Italia risulta decisamente sotto la media europea (indicatore 53). Da notare che tutti i dati medi italiani sono appesantiti da significative debolezze delle regioni del mezzogiorno.

“C’è da porsi una questione decisiva: quanto costa l’ignoranza? Il basso livello di capitale umano” - ha dichiarato Attilio Oliva, Presidente dell’Associazione TreeLLLe - figura come una vera e propria emergenza nazionale. C’è il rischio di uscire dal novero dei paesi ad alto sviluppo (emergenza economica), poi da quello dei paesi avanzati (emergenza culturale), infine il rischio di una popolazione poco informata e facilmente manipolabile (emergenza democratica)”.

SCUOLA: alcuni nodi critici

- mancano insegnanti giovani: l’età media è di oltre 50 anni mentre in Europa è di 43 (vedi indicatore 51);
- c’è una dimensione abnorme del precariato (oltre il 15%) e gli insegnanti di fatto sono reclutati solo in base all’anzianità di servizio;
- c’è un gravissimo ed elevato grado di abbandoni precoci della scuola di giovani senza un titolo né una qualifica (il 16% nel 2010, vedi indicatore 45).

Le principali questioni aperte sono:

- ha ancora senso il modello rigido e ipercentralizzato del MIUR per la gestione di 40.000 sedi scolastiche e oltre un milione di addetti? Non è necessario adottare il principio di sussidiarietà che significa affrontare i problemi la dove sorgono e dove possono essere risolti con più efficacia, più velocità e minori costi?
- E la legge sull’autonomia scolastica dove è finita? Perché tanta sfiducia? Perché non responsabilizzare e valutare gli operatori in modo da valorizzare le loro abilità?
- Si sa che è la qualità professionale dei dirigenti e degli insegnanti a fare la differenza tra un sistema scolastico e un altro. E allora si possono continuare a reclutare gli insegnanti con gli attuali inadeguati sistemi concorsuali o peggio con sanatorie generalizzate? E che dire del recente fallimento del concorso per i presidi dirigenti?
- E si può pensare di attirare i migliori laureati al mestiere di insegnante senza alcuna prospettiva di carriera e di retribuzione differenziata per le migliori professionalità dimostrate sul campo?
- Si può continuare a parlare della scuola (che oggi è una scatola nera) senza un Sistema di Valutazione Nazionale che rilevi sistematicamente la qualità delle singole scuole (con periodiche ispezioni), gli apprendimenti degli studenti (con test nazionali) e valuti gli operatori (ad esempio sulla base della reputazione documentata)?
20131021_numeri_2- È solo un problema di soldi? Non sembra, se la spesa annuale per studente della scuola primaria era nel 2009 di oltre il 10% più alta di quella dell’UE-19 (vedi indicatore 33).  Anche dopo i significativi “tagli” degli insegnanti del 2009-2011, si stima che la spesa per studente risulti tuttora di livello “europeo”. E allora perché non sono europei i risultati? Certamente pesa sui giovani il basso livello culturale delle famiglie; ma quanto pesano la cattiva allocazione delle risorse finanziarie, la qualità del corpo insegnante, le metodologie didattiche e l’assenza di un Sistema nazionale di valutazione?

UNIVERSITA’: alcuni nodi critici

- La spesa complessiva è effettivamente inadeguata: nel 2009, in percentuale sul PIL era solo dell’1%, contro l’1,4% dell’UE-19 e la spesa annuale per studente era più bassa di oltre il 30% della media UE-15 (vedi indicatore 79). Nel frattempo non è certo migliorata.
- È assente un’offerta di istruzione post-secondaria professionalizzante di 2-3 anni (vedi indicatore 107). Infatti se le immatricolazioni sono ormai in linea con le medie europee, il percorso troppo accademico, troppo lungo e senza esperienza di lavoro causa troppi abbandoni e non accompagna i giovani verso il mondo delle imprese. L’università di tipo accademico non può essere l’unica risposta alla domanda di istruzione terziaria.
- Inadeguatezza delle politiche di regolazione delle autonomie del sistema universitario. L’autonomia incondizionata non può essere un obiettivo in sé: c’è bisogno di un contrappeso di un ministero che governi “a distanza” sulla base dei risultati (senza accanimento burocratico), anche con poteri di commissariamento nei casi di violazione delle regole (ad esempio lo sforamento dei vincoli di bilancio). Non sarebbe opportuno utilizzare i risultati di ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca) e grazie alle sue valutazioni attribuire in forma premiale percentuali ben maggiori dell'attuale 13% del FFO (fondo di finanziamento oridinario) alle Università migliori? (vedi i primi risultati della slide ANVUR 2012)
- Carenza di informazioni e valutazioni sulla qualità dell’offerta che possano orientare la scelta degli studenti. Anche qui non sarebbe cruciale il ruolo dell’ANVUR per procedere all’accreditamento di corsi di studi universitari per evitare pubblicità ingannevoli a danno degli studenti?

RICERCA: alcuni nodi critici

- Inadeguatezza delle risorse totali per la R&S (università + enti di ricerca + imprese). Nel 2010, la stima della spesa in rapporto al PIL era dell’1,26% contro il 2,06 dell’UE-15 (vedi indicatore 122).
- Insufficienti collaborazioni e sinergie tra ricerca pubblica (università e altri) e imprese con conseguente scarsa capacità di innovazione e trasferimento tecnologico (vedi indicatore 124 relativo alla scarsità dei nostri brevetti).

20131021_numeri_3CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

“Ci sono almeno tre distacchi da colmare con urgenza. Il primo - ha detto Gianfelice Rocca - è quello tra il modo di insegnare ancora prevalente nella nostra scuola, troppo teorico e passivo, e i nuovi stili di apprendimento dei giovani nativi digitali, più orientati alla dimensione tecnologica del sapere e all’imparare facendo (learning by doing). Il secondo gap da riempire è quello tra le scelte formative dei giovani e delle famiglie e il fabbisogno di professionalità qualificate effettivamente richieste dal mondo del lavoro. Infine bisogna colmare il distacco tra la consapevolezza di quanto l’innovazione e la ricerca siano strategiche per una ripresa stabile del nostro sistema produttivo e l’inadeguatezza degli investimenti e delle risorse per l’R&D, sia in ambito pubblico che privato”.

“Le ricette per raggiungere indici medi europei non stanno solo nei soldi. È piuttosto con le attuali regole del gioco che il sistema di istruzione e formazione del paese fatica a migliorare e a diventare più europeo. È qui – ha concluso Attilio Oliva - che le forze politiche possono giocare un ruolo decisivo dando risposte innovative alle principali questioni che abbiamo sollevato, molte delle quali non reclamano “costi finanziari”, ma certamente qualche “costo politico”. Avranno il coraggio di affrontarle?”

La ricerca è disponibile al seguente indirizzo: www.inumeridacambiare.it

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