Sanità, ecosistemi da studiare e valorizzare Intervista

Sanità, ecosistemi da studiare e valorizzare

Editoriale a firma Sergio Dompé, Vicepresidente Life Sciences Assolombarda, su Il Sole 24 Ore.

Il sistema sanitario italiano è una risorsa fondamentale per il Paese. La salute della propria popolazione è, infatti, il primo requisito per lo sviluppo economico e sociale, come sottolineato alla chiusura del G20 di Roma del 2022 con l’espressione “Health is Wealth”. Oggi, a fronte dell’aumento delle esigenze di salute di un Paese con crescenti aspettative di vita - ulteriore conferma della qualità del nostro sistema sanitario - non si può però evitare il tema della sua sostenibilità economica. Sciogliere questo nodo è necessario se vogliamo consentire alle Regioni di spendere al meglio le risorse per la salute, superando i vincoli odierni che creano uno stallo nella possibilità di migliorare i servizi ai cittadini.

Negli ultimi mesi si è parlato molto di autonomia differenziata e dei cosiddetti LEP, i “livelli essenziali delle prestazioni” citati dall’art. 117 della Costituzione, pilastro per la realizzazione della riforma a tutela dei diritti dei cittadini. Per evitare lo stallo su posizioni pro o contro, credo sia utile ricordare che da sempre l’Italia mostra ampi spazi di autonomia regionale nel campo della salute. Mi riferisco alle competenze assegnate alle regioni in tema di sanità. La crescente importanza assunta da questi enti di governo sulla salute pubblica si è rivelata la conditio sine qua non per offrire una risposta sempre più vicina alle esigenze dei cittadini.
Assegnare competenze alle regioni significa, infatti, rispondere più rapidamente alle esigenze delle comunità: una scelta che, nel caso della sanità, è risultata coerente con il concetto di “prossimità” espresso anche dalla “Missione Salute” del PNRR e dal conseguente DM 77/2022 che ne attua i principi.

I recenti dati ALTEMS, del resto, mostrano come alcuni Sistemi riescano a valorizzare, pur con modelli diversi, le proprie leve di eccellenza, migliorando i servizi destinati ai pazienti. In Lombardia, per esempio, la filiera delle Scienze della Vita - che oggi vale il 13% del PIL regionale - ha contribuito all’incremento delle risorse destinate alla salute pubblica cosicché, tra il 2012 e il 2020, la spesa sanitaria pubblica in prevenzione è quasi raddoppiata nel rispetto dell’equilibrio di bilancio. La regione, inoltre, può contare su 19 IRCCS, di cui 14 privati accreditati che, attraverso una consolidata collaborazione pubblico-privato, sostengono l’intero SSR in un percorso di sviluppo e innovazione, garantendo cure d’eccellenza.

Ancora la Lombardia, pur mantenendo livelli di spesa sanitaria pro-capite allineati alla media nazionale (2.260 quella italiana, 2.266 quella lombarda), e spendendo, per singolo cittadino, meno di molte altre regioni italiane e di alcune delle economie europee più avanzate (Germania: 5.086 euro; Paesi Bassi: 4.715 euro; Francia: 3.852 euro), si distingue per l’efficienza del rapporto tra risorse investite e risultati clinici. La valutazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) mostra che la Lombardia registra un’aspettativa di vita e un tasso di popolazione in buona salute superiori alla media nazionale, oltre a riportare tassi di mortalità inferiori alla media nazionale, sia nelle patologie infettive che in quelle oncologiche, fino alle cardiovascolari, come nel caso della mortalità ad un anno da infarto miocardico acuto. Siamo perciò di fronte a un modello da studiare perché in grado di mantenere elevato nel tempo il profilo tra spesa e “Healthy Life Years” anche rispetto a Paesi UE con livelli di spesa maggiori.

Oggi, purtroppo, i criteri di distribuzione delle risorse e la riduzione costante del rapporto tra spesa sanitaria pubblica e PIL limitano il potenziale di questo sistema di rispondere ai bisogni concreti della popolazione. Un confronto serio e costruttivo su come far evolvere il sistema italiano della salute deve perciò mirare a individuare un nuovo modello di ripartizione delle competenze per valorizzare gli ecosistemi più virtuosi e accompagnare l’Italia tutta verso un percorso teso a standard di eccellenza.

Il tema delle risorse è ovviamente importante, ma se preso da solo rischia di polarizzare l’attenzione del dibattito pubblico, mentre quello di cui dobbiamo discutere è un ripensamento del modello sanitario necessario ad affrontare le sfide della contemporaneità.

Concordare la cessione di nuove competenze su materie cruciali non può e non deve, quindi, essere considerato un tabù. Da oltre 20 anni le regioni operano in questa direzione, concorrendo al mantenimento dei LEA, con la supervisione del Ministero della Salute e del “Nuovo Sistema di Garanzia”. Potrebbe essere questo il metodo a cui ispirarsi per ridefinire gli equilibri tra regioni e Stato centrale. I dati ci mostrano che nuove forme di coinvolgimento dei territori possono porre le basi per un modello regionalistico più efficace e inclusivo, innescando un nuovo percorso di sviluppo delle competenze delle amministrazioni regionali.