Industriali, no al decreto Di Maio. "Questa non è dignità ma rigidità" Intervista

Industriali, no al decreto Di Maio. "Questa non è dignità ma rigidità"

L'intervista di Alessandro Spada, Vicepresidente Vicario di Assolombarda - La Repubblica, 6 luglio 2018

"L'hanno chiamato decreto dignità, ma visto com'è congegnato a me sembra più un decreto rigidità". Alessandro Spada, imprenditore, è il leader di una delle multinazionali familiari (la Vrv di Ornago, provincia di Monza e Brianza, apparecchi a pressione per il settore Oil & Gas, 800 dipendenti e 150 milioni di fatturato) che sono il fiore all'occhiello dell'industria lombarda. Cioè dell'economia del Nord Italia, cioè dell'area più brillante e dinamica del Paese. Parla per sé, perché la competizione sui mercati internazionali («Abbiamo come concorrenti i coreani, i cinesi, gli indiani, e naturalmente i tedeschi...») la sperimenta sulla pelle viva della sua azienda tutti i santi giorni. Ma parla anche a nome degli imprenditori milanesi (è vicepresidente vicario dell'Assolombarda e rappresenta le medie aziende), preoccupati per i primi segnali di politica economica con i quali il nuovo governo legastellato ha inaugurato la sua attività. Forse preoccupati è perfino poco, e solo la tradizionale prudenza del mondo imprenditoriale nei confronti dei governi in carica impedisce, al momento, di usare toni più coloriti. Ma il senso è chiaro: "Il decreto dignità è sbagliato fin dalla sua definizione: è il lavoro stesso che dà dignità, non certo un decreto. Se il governo licenzia un provvedimento sul lavoro e lo chiama decreto dignità trasmette agli investitori internazionali un messaggio che pare sottintendere che il lavoro, in Italia, proprio dignitoso non sia. Non è un segnale corretto, né incoraggiante".

E va bene. Ma al di là delle etichette, perché il decreto Di Maio non piace alle imprese milanesi e brianzole?

"Nel programma del M5S, proprio ai primi punti, era messa per iscritto l'intenzione di assecondare la ricerca di lavori nuovi, i mestieri dell'innovazione, l'ampliamento del mercato. Ecco, il decreto dignità va in direzione esattamente opposta: aumentala rigidità, restringe le possibilità di nuovi contratti, rende tutto più faticoso e costoso. In definitiva, penalizza tanto le aziende quanto i lavoratori. Si torna indietro, invece di andare avanti".

Sia più chiaro, perché tagliare il numero dei possibili rinnovi e la durata complessiva dei contratti a termine irrigidisce il mercato? Cosa cambia per le aziende?

"Prima di tutto ci sono attività legate alla stagionalità, con picchi di lavoro in determinati periodi dell'anno, che hanno necessità di modellare gli organici a seconda della domanda dei beni o dei servizi che producono. E poi anche per le aziende industriali, anche per quelle medio-grandi, la velocità è fondamentale: molto spesso le fasi di progettazione, contrattazione e ottenimento delle autorizzazioni sono lunghissime, ma poi, quando parte la commessa, bisogna fare in fretta, sennò si perde l'ordine. Anche qui, c'è il bisogno di adeguare la forza lavoro alla domanda. La velocità, per chi compete con aziende asiatiche o europee che hanno condizioni di partenza molto migliori delle nostre, è un fattore decisivo".