Relazione del Presidente Alberto Meomartini all'Assemblea 2009

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Assemblea 2009

Relazione del Presidente Alberto Meomartini

Milano, 15 giugno 2009

 

Autorità, colleghe e colleghi, interlocutori del mondo sindacale,

sono sinceramente onorato di essere stato scelto alla guida di Assolombarda per il prossimo quadriennio, consapevole della responsabilità e dell’impegno che il ruolo richiede in circostanze normali, e ancor più in quelle attuali, straordinarie.

Il lavoro svolto dai miei predecessori, con i quali ho collaborato negli ultimi 12 anni, è una visibile stella di riferimento, senza cui non potrei neppure immaginare di avviare il mio lavoro di rappresentanza, di proposizione di istanze, esigenze e progetti del nostro sistema imprenditoriale.

Tenersi insieme

Il filo conduttore del mio intervento è la necessità di rafforzare le relazioni tra i soggetti che rendono viva la società e l’economia milanese, di costruire una vera e propria rete di interdipendenze che oggi, paradossalmente, esiste più verso l’esterno che all’interno del nostro territorio.

Questi legami da rafforzare, questo tenersi insieme, questa fiducia di ognuno negli altri, questo intendere le proprie responsabilità come parte di responsabilità collettive sono la strada per poter crescere.

Tocqueville notava che la forza di sviluppo della società americana poggiava su due convinzioni apparentemente in contrasto: un forte slancio alla realizzazione individuale e, allo stesso tempo, una forte determinazione ad associarsi per raggiungere obiettivi comuni.

Qualche domanda sulla crisi

Vorrei proporvi qualche considerazione sulla crisi che stiamo vivendo, riflessioni orientate al presente e al futuro, a immaginare strategie di uscita dalla crisi stessa. Ma non possiamo prescindere da uno sguardo al passato recente.

Pirandello esprimeva in sintesi questa condizione: “… crede possibile che la case di Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di lì a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene lì tranquille, sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze...?”

Siamo stati troppo tranquilli sotto la luna.

Conosciamo poco, ammettiamolo con onestà, i meccanismi con i quali le grandi imprese finanziarie internazionali agiscono e influenzano la stabilità nei diversi Paesi. Se avessimo avuto percezione di questi fenomeni, tutti – dico tutti, non solo gli organismi di regolazione – avremmo fatto qualcosa.

Dobbiamo cercare di capire il perché di questa tempesta che, partendo dalla finanza, ha sconvolto l’economia reale come non era mai accaduto nel dopoguerra, producendo la distruzione di ricchezza che è davanti ai nostri occhi, la perdita di imprese e di capacità produttiva, la disoccupazione soprattutto delle categorie più deboli, una vera e propria emergenza sociale su scala internazionale e un senso di smarrimento della fiducia nel futuro. Smarrimento che certamente tutti contrasteremo con un impegno straordinario nel nostro lavoro.

Oggi è il tempo delle domande.

Amartya Sen sostiene, in estrema sintesi, che il mondo si regge su tre pilastri in equilibrio: lo Stato (nelle sue articolazioni centrali e locali), l’economia e la società civile. Ma negli ultimi anni la finanza (la generalizzazione è fatta per capirci) ha finito, debordando dal suo ruolo fisiologico, per alterare questo equilibrio.

La finanza era diventata il metro di tutte le azioni, in una specie di caricatura dell’etica protestante (caricatura, perché di etica se n’è vista pochina…).

Il ruolo degli stati

Nella gran parte dei Paesi, oggi il tentativo di riportare equilibrio avviene principalmente per intervento dello Stato, seppure in forme diverse, facendo nascere un altro genere di problemi, di enorme complessità.

Basti un dato: dal 1979, anno in cui il Governo Thatcher avviò le politiche di privatizzazione in Gran Bretagna, poi estese a un grande numero di Paesi, il valore totale delle privatizzazioni si può collocare intorno a 1.500 miliardi di dollari.

Nell’ultimo anno, in seguito agli interventi degli Stati per evitare ulteriori tracolli del sistema finanziario e contrastare la crisi dell’economia reale, le pubblicizzazioni di asset privati hanno superato i 1.800 miliardi di dollari: in un anno si è pubblicizzato su scala globale quanto si era privatizzato in trenta.

Se poi consideriamo le varie forme di garanzia prestate dagli Stati o altri interventi ibridi, raggiungiamo una cifra di almeno 4.000 miliardi di dollari. Nel complesso, gli interventi anticrisi valgono almeno 11.000 miliardi di dollari, oltre il 10% del PIL mondiale del 2008.

Ma torniamo agli interventi diretti dello Stato nelle imprese: dobbiamo pensare che le lancette dell’orologio delle privatizzazioni si sono spostate indietro di trent’anni?

Non c’è una riposta univoca, ma credo che a dimostrare la novità di quanto sta accadendo basti la considerazione che le pubblicizzazioni di oggi non riguardano esattamente gli stessi comparti e le stesse aziende privatizzate nel tempo, ma coinvolgono anche settori concorrenziali, imprese immerse nel mercato: il caso dell’auto è sotto gli occhi di tutti, quello di una parte significativa di grandi gruppi finanziari, anche.

Un mondo nuovo è davanti a noi, un mondo in cui è doveroso, insieme agli interessi collettivi da tutelare, mantenere e sviluppare condizioni di concorrenzialità tra le imprese, premessa essenziale per lo sviluppo delle economie.

La necessità di regole

Il ruolo che giocheranno gli Stati nel finanziamento e nel supporto del sistema economico internazionale sarà cruciale.

Per quanto tempo? Con quali regole?

Dove lo Stato interviene nell’azionariato di grandi imprese, finanziarie e non, con o senza diritto di voto, la governance, le strategie e i risultati ne sono determinati o almeno influenzati.

Questo porta a un potenziale (e non troppo velato) rischio di alterazione delle regole di concorrenza che determinano il funzionamento del mercato. E anche la letteratura economica, in fondo, è disarmata di fronte a questi problemi.

Ora, dobbiamo capire quanto tempo durerà questa forma di intervento dello Stato nell’economia e nella finanza, tempo che sarà funzione del superamento della crisi, anche se sappiamo che davanti a noi ci sono più incognite che equazioni disponibili.

Ma con certezza, mi auguro diffusa, sentiamo la necessità di stabilire regole a livello internazionale, compito difficilissimo ma indifferibile.

Senza la definizione di nuove regole o di metodi più efficaci nell’applicare quelle esistenti, non si potrà uscire da una crisi che non è certo stata causata da qualche virus sconosciuto e misterioso.

Le regole sono connaturate allo sviluppo delle economie libere, ne sono le fondamenta.

Edmund Phelps (tra i pochi economisti che oggi possono parlare...) sintetizza efficacemente questo pensiero: “Il capitalismo non è il laissez-faire, un sistema di governo-zero “più il poliziotto”. I sistemi capitalistici funzionano meno correttamente se lo Stato non protegge investitori, finanziatori e aziende da monopoli, frodi e truffe…”

Regole, dunque, senza le quali non vi è competizione e non vi è sviluppo.

Nel nostro Paese esistono certamente competenze e intelligenze adeguate a dare un contributo significativo alla soluzione di questi problemi: ci aspettiamo che si mettano in gioco.

Ridurre i rischi sistemici globali

Il Sole 24 Ore ha aperto un dibattito particolarmente interessante sulla crisi e sugli strumenti per affrontarla.

Intervenendo, il Presidente Emerito della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ricorda uno scritto di Guido Carli (non solo Governatore della Banca d’Italia, ma anche Presidente di Confindustria).

Anni addietro, Carli rilevava: “… l’estensione assunta dall’intermediazione finanziaria in forme non riconducibili a quelle convenzionali e sempre più riottose ad essere poste nei limiti di definizioni certe…” e aggiungeva che “… invertire il corso in atto da qualche tempo di assoggettamento dell’economia alla finanza è esigenza avvertita un po’ dappertutto, dove per economia si intendono uomini e donne che lavorano, che producono, che consumano, che investono, che costruiscono per sé e le loro famiglie.”

Carlo Azeglio Ciampi commenta che “... alla percezione del problema è evidentemente mancato il seguito dell’azione.”

Nessuno pensa ragionevolmente che l’innovazione nei prodotti e nei sistemi finanziari sia deprecabile, anzi. Ma il requisito fondamentale di un sistema finanziario globalizzato risiede innanzitutto nei suoi lineamenti di trasparenza e rendicontabilità.

Se il rischio è connaturato all’attività finanziaria, così come alle attività delle imprese che producono beni e servizi, questo rischio deve essere inquadrato in regole tracciabili, seppure non ridondanti, e gestibili dai regolatori. Oggi più che mai, l’obiettivo è ridurre i rischi sistemici globali.

E, come ha sottolineato di recente Mario Draghi nella sua veste di Presidente del Financial Stability Board, una delle linee d’azione principali, un prerequisito fondamentale, riguarda la trasparenza degli intermediari finanziari.

In questa linea, se alcune decisioni importanti sono state già assunte, manca ancora una direzione di marcia chiara per una nuova governance globale, sfida fondamentale per il futuro.

La situazione delle banche italiane, come sottolineato da più parti, è relativamente migliore di quella di tante banche internazionali, anche per motivi di natura strutturale (la fonte dei finanziamenti è infatti rappresentata in gran parte dai depositi al dettaglio).

Ma il Governo italiano ha fatto bene a intervenire sui due fronti principali: il sostegno di garanzia al sistema creditizio, finalizzato al finanziamento fisiologico delle imprese, e il sostegno di welfare alle categorie più deboli e più colpite dalla crisi.

“Le azioni, caro mio: l’uomo si conosce all’azioni”, dice l’oste nel VII capitolo dei Promessi Sposi.

E quindi seguiamo con attenzione e apprezzamento anche il lavoro del Ministro Claudio Scajola per sostenere gli investimenti e lo sviluppo delle imprese nei campi dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.

La crisi finanziaria si è trasferita immediatamente all’economia reale, attraverso il calo della domanda e il credit crunch. E lo ha fatto colpendo un sistema industriale già in sostanziale ristagno nei principali Paesi OCSE e un sistema economico, come il nostro, con livelli di produttività (area milanese a parte) da troppo tempo inferiori a quelli dei competitori.

Così come l’intero sistema confindustriale, Assolombarda, la Camera di Commercio di Milano e le altre istituzioni locali hanno agito immediatamente con determinazione, in un quadro oggettivamente difficile, per mantenere efficienti e non contingentati gli interventi di finanziamento al sistema delle imprese.

Qualche risultato anche importante è stato ottenuto. Molto rimane da fare.

Una crisi di pensiero: lo sguardo a breve

“Un battito d’ala di farfalla a Hong Kong può causare un tifone nel Texas”: semplificata al massimo, la teoria del caos si può esprimere così. Ma guai a considerare quanto sta avvenendo come un accadimento casuale e senza spiegazioni.

La crisi di oggi è anche figlia di una crisi di pensiero: un pensiero omologato, talvolta ossessivo, che ha puntato l’attenzione soprattutto sui risultati a breve termine, in qualche caso creando le condizioni per il mancato sviluppo delle imprese nel medio periodo.

Negli ultimi anni abbiamo assistito tutti, e in gran parte in silenzio, all’affermarsi di una certa retorica sulla creazione di valore per gli azionisti. L’obiettivo è importante, ma a una condizione: che non si confondano gli effetti con le cause.

Sono convinto, e certo non sono il solo, che un’impresa si gestisce per i consumatori, per i collaboratori, per lo sviluppo dell’impresa stessa nel lungo periodo. Se c’è successo (causa), si crea anche valore per gli azionisti (effetto). Se la gestione è orientata principalmente a creare valore per gli azionisti, invece, nulla garantisce che l’azienda si sviluppi. E alla fine il valore evapora.

Dobbiamo ammetterlo con onestà: nel mondo, molte politiche retributive hanno seguito e promosso questa seconda strada.

Ho ripercorso queste considerazioni, ampiamente condivise, nel tentativo di costruire un promemoria di comportamento, prima di tutto per me stesso.

Non sappiamo quando usciremo da questa crisi. Ma sappiamo come stiamo lavorando per fare la nostra parte, come lavoreremo. E possiamo intuire che dalla crisi usciremo diversi. Con una maggiore consapevolezza dell’importanza delle regole, con una coesione più forte tra gli attori dello sviluppo, con un rapporto diverso tra finanza ed economia produttiva.

Ma a nessun previsore è dato sapere come effettivamente saremo. E oggi ci sentiamo tutti di diffidare dei profeti.

“È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”, diceva il grande fisico Niels Bohr.

La necessità di un impegno sul territorio

In questo quadro, c’è spazio per un impegno sul territorio?

C’è spazio per lavorare a livello locale per superare la crisi?

Ci anima la convinzione che questo spazio esiste, e che forse è più grande di quanto possiamo immaginare.

Le nostre imprese patiscono gli effetti di una crisi doppiamente immeritata: perché è nata fuori dai nostri confini, è una crisi “importata”, e perché deriva da una carenza di domanda e non certo da un difetto generalizzato di competitività del nostro sistema produttivo.

Banca d’Italia stima in 5.000 le imprese italiane che si sono ristrutturate e possono superare la crisi non solo senza particolari contraccolpi, ma anzi rafforzandosi; ma ne conta altre 6.000 che, avendo avviato lo stesso processo, ora si trovano a metà del cammino.

Il clima di fiducia rilevato per l’area milanese dalla nostra indagine congiunturale sul manifatturiero, che aumenta ad aprile per il quinto mese consecutivo portandosi sul livello più alto da settembre 2008 (periodo di avvio della fase più intensa della crisi), è un ulteriore sostegno all’ipotesi di una possibile stabilizzazione del ciclo italiano.

Ma non vogliamo certo fare dell’ottimismo facile di fronte alla gravità della situazione.

Il mercato del lavoro, a sua volta, nel 2008 ha tutto sommato tenuto. A livello nazionale, il tasso di occupazione è rimasto invariato, il tasso di disoccupazione è cresciuto moderatamente.

E il mercato del lavoro milanese ha registrato un andamento positivo, nonostante lo scenario degli ultimi mesi: sono cresciuti sia il tasso di occupazione complessivo (al 68,7%, sempre più vicino al traguardo di Lisbona), sia quello femminile (al 61%, obiettivo di Lisbona già raggiunto).

Ma che l’andamento dell’occupazione per il 2009 si prospetti in peggioramento è evidente per tutti. Come è noto, i dati di cassa integrazione negli ultimi mesi sono esplosi, sebbene vadano valutati con cautela a fronte del forte divario tra autorizzazioni e utilizzi effettivi segnalato dall’INPS.

Ripeto, nessun ottimismo di facciata.

Ma dobbiamo guardare al nostro territorio con una visuale ampia e dinamica: un territorio che per l’Associazione abbraccia tre province, Milano, Lodi e Monza e Brianza, al centro di una macroregione che non ha confini amministrativi, ma confini economici, culturali e sociali estremamente ampi e, a loro volta, variabili.

Allora vediamo che la forza di Milano (e per Milano intendo, appunto, un’area ben più vasta della città e della cintura che la circonda) sta soprattutto nella qualificazione del suo sistema di imprese (le eccellenze del settore farmaceutico, del sistema dei media, delle telecomunicazioni, della logistica, dell’energia, della moda e del design, dei servizi e di altri comparti ancora sono note a tutti).

La forza di Milano sta nel suo dinamismo imprenditoriale, certificato da un gran numero di piccole imprese, dalla loro propensione all’innovazione e dalla loro straordinaria apertura alle relazioni, soprattutto internazionali.

Nel suo essere nodo di una rete che abbraccia l’intero pianeta, Milano è certamente, come dimostrano molti dati, una delle aree più importanti nel mondo.

Un’area forte per le sue interdipendenze, più che per la sua specializzazione produttiva. E questo, oggi, è un vantaggio competitivo notevole.

Il dibattito su Milano

Proprio sul ruolo della nostra città, del nostro territorio, in queste settimane si è aperto un dibattito molto sentito.

Questo dibattito scaturisce anche – lo vogliamo intendere così – da una richiesta di leadership, necessaria soprattutto in un momento come questo. Nasce da una richiesta di ruolo, di essere punto di riferimento per altri e per molti.

In questo confronto, un contributo particolarmente significativo è venuto dall’Arcivescovo, Cardinale Dionigi Tettamanzi, che ha sottolineato un punto cruciale su cui altri, a cominciare dal Sindaco Moratti, hanno convenuto, e su cui è opportuno ragionare: la necessità che tutte le energie presenti nella città, e sono tante, si colleghino tra loro, che esprimano un’identità come sintesi di diverse originalità, che non vivano nella dimensione esclusiva dell’individualità, seppure eccellente.

Noi diremmo: Milano deve fare sistema, le forze individuali devono collegarsi e identificarsi in progetti comuni. Lo pensano gli studiosi, lo riscontrano gli osservatori, lo sentono i cittadini.

Pablo Neruda, che conosceva bene Milano, la definiva “città minerale”: un luogo dove bisogna scavare per portarne alla luce le energie e le ricchezze. Condivido questa visione, perché talvolta Milano nasconde le sue qualità. Ma fare emergere le energie oggi non basta, occorre condividerle e farle funzionare insieme.

L’esperienza di molti, e certamente la mia, è che le aree che si sviluppano di più nel mondo, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche da quello della coesione sociale, hanno qualcosa in comune: non sono quelle in cui si manifestano singole eccellenze, siano esse istituzioni, università o imprese, ma quelle in cui istituzioni, università (mondo della formazione e della ricerca) e imprese sono collegate tra loro, collaborano formando un sistema.

Sono le relazioni che costituiscono la forza, la spinta allo sviluppo e alla convivenza sociale, a beneficio non di singoli portatori di interessi, pur pienamente legittimi, ma di tutta la comunità.

Creare un'identità collettiva

Da questo punto di vista si deve fare di più, ed è chiaro che questo non è solo compito degli amministratori, ma di ciascuno di noi.

In questi anni, in Assolombarda, abbiamo tutti cercato di costruire relazioni di sistema: è il metodo che ci appartiene, il modo con cui continueremo a muoverci, il terreno su cui saremo giudicati.

Della ricerca di questa identità collettiva, Milano è ricca di esempi. Anzi, forse è proprio questo uno dei segni più forti nella sua storia.

Ognuno individua nel passato i riferimenti che lo colpiscono di più: personalmente, trovo molto interessante un lavoro, realizzato da un nutrito gruppo di studiosi e patrocinato dal Comune di Milano, che si chiama “Milano scientifica 1875-1924”.

È un’opera che racconta lo sforzo straordinario realizzato nella nostra città in quegli anni per costruire un sistema di relazioni e interdipendenze tra scienziati, imprenditori, umanisti e amministratori intorno a istituzioni scientifiche e sanitarie, centri di formazione, collegati in una rete di alta cultura (si sviluppavano allora il Politecnico e gli Istituti clinici di perfezionamento, mentre l’Università Bocconi era nata qualche anno prima).

È un esempio straordinario di una visione di città che ha letteralmente plasmato la struttura di Milano, rafforzando il sistema industriale già sviluppato in quegli anni, e ponendo le premesse per la crescita della città lungo l’intero Novecento.

Elena Canadelli e Paola Zocchi, presentando il lavoro, sottolineano che “… Milano rappresenta un interessante caso di studio di una comunità con diversi protagonisti: le istituzioni, gli studiosi, le discipline, ma anche i finanziatori pubblici o privati che inevitabilmente influenzarono scelte e linee di sviluppo. Nella città di Pirelli e dei futuristi, i rapporti tra scienza, politica ed economia apparivano particolarmente fitti… un dialogo continuo alla ricerca di un equilibrio… si ritrovano quindi temi ancor oggi di grande attualità, che invitano a riflettere sul ruolo dei privati nel finanziamento alla ricerca scientifica e all’assistenza sanitaria, sui compiti e le finalità dell’istruzione universitaria e postuniversitaria, sul ruolo stesso della classe dirigente nell’ideazione di politiche culturali innovative e di ampio respiro.”

Impresa e conoscenza

Oggi, proprio nella situazione in cui il sistema imprenditoriale si trova, il rapporto con la scuola e le università assume un’importanza particolare nel definire quell’identità di territorio che appare indispensabile.

Questa mattina sono qui con noi i Rettori di alcune università milanesi e il prof. Decleva, Presidente della Conferenza dei Rettori delle università italiane. Li ringraziamo, perché la loro presenza testimonia la volontà di continuare il lavoro fatto insieme finora: un impegno, lo posso dire, che ha portato risultati positivi per tutti.

Il confronto continuo con le università milanesi, anch’esse ricchezza della nostra “città minerale”, trova la sua espressione istituzionale in un tavolo di lavoro in cui si confrontano esigenze delle imprese e programmi delle università. Una sede in cui si elaborano e si realizzano progetti comuni, come la ricerca sulle competenze richieste dalle imprese ai neo-laureati, che ha condotto alla condivisione di indicazioni per l’innovazione didattica dei corsi di laurea. Un contesto in cui si fanno nascere iniziative inedite come l’apprendistato di alta formazione.

Voglio ricordare il sostegno dato dalla Regione Lombardia a questi progetti, non solo in campo universitario, con l’auspicio che in futuro si possa dare continuità alle iniziative che hanno dimostrato di funzionare, perché diventino un volano per le crescita dell’intero sistema.

Questo tavolo di lavoro è un luogo in cui si abbattono barriere e si generano collaborazioni. Un mattone, forse qualcosa di più, nella costruzione di un sistema Milano.

Non è un’utopia: la ricerca recente sullo stato delle relazioni tra le università milanesi e le imprese in tema di ricerca e sviluppo, promossa da Assolombarda e svolta dal prof. Airoldi dell’Università Bocconi, mostra una realtà fatta di grande vitalità, un sistema che si sta integrando e ha le caratteristiche per diventare ancora di più un catalizzatore di energie positive per lo sviluppo del territorio.

Oggi università e imprese sono partner nella progettazione di nuovi corsi di laurea e collaborano intensamente nelle attività di placement dei laureati. E i laureati lombardi registrano le performance migliori nel mercato del lavoro.

Tutti conosciamo i problemi delle università, l’autonomia lasciata a metà, i problemi del finanziamento, quelli della ricerca di una maggiore efficienza nella spesa e nella rendicontabilità, che di un’autonomia reale sono il completamento necessario.

Sono problemi in buona parte comuni alle università di molti Paesi europei. Alla base della loro soluzione ci deve essere il concetto, che in Confindustria e in Assolombarda abbiamo sempre sostenuto, di premiare il merito delle università migliori con un sistema di valutazione condiviso, anche per distribuire le risorse pubbliche – indispensabili – secondo criteri incentivanti.

Su questi temi c’è una sostanziale condivisione di opinioni. Ci auguriamo tutti che presto venga varato l’atteso provvedimento governativo.

Il tema del rapporto con il mondo della formazione e delle università, soprattutto per aumentare la collaborazione con il sistema delle piccole imprese, è uno degli impegni che Assolombarda assume per il prossimo quadriennio.

Lo sviluppo della formazione tecnica e professionale (oggi in Italia c’è un grande divario tra la richiesta di queste figure e la loro disponibilità) è diventato una delle urgenze della politica di education e un altro degli impegni prioritari della nostra Associazione.

Stiamo lavorando con gli istituti tecnici per anticipare alcuni aspetti della riforma. In particolare, insieme perseguiamo il ribaltamento della prospettiva didattica, da focalizzare sull’apprendimento dei ragazzi e sullo sviluppo delle loro capacità teoriche e pratiche, e non più sui programmi.

Come sempre in questo campo, la stretta collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale è anche in questo caso una risorsa preziosa. Voglio salutare il nuovo direttore, Giuseppe Colosio, che è qui con noi proprio nel giorno del suo insediamento.

Però, lavorare con le scuole non basta: è necessaria un’azione ancora più incisiva per riavvicinare gli studenti al gusto del lavoro ben fatto nell’industria, e quindi agli studi tecnico-scientifici, utilizzando i mezzi di comunicazione più vicini alla cultura giovanile. Voglio ringraziare la Provincia di Milano che in questi anni ha dedicato un impegno consistente all’orientamento: un’attività fondamentale per accompagnare la crescita personale e professionale dei nostri giovani.

La collaborazione tra PMI e università

Consideriamo indispensabile creare le condizioni per lo sviluppo della ricerca.

Proprio qualche giorno fa, nella giornata dell’innovazione organizzata dal Ministero della Funzione Pubblica, si è sottolineato ancora una volta il divario tra la spesa in ricerca dei Paesi Ocse e quella italiana.

Una riflessione. In Italia, le grandi imprese investono in ricerca mediamente quanto le grandi imprese negli altri Paesi: la differenza, semmai, sta nel fatto che qui le grandi imprese sono poche.

Per noi, quindi, il tema dello sviluppo della ricerca si pone con modalità particolari che coinvolgono principalmente e direttamente la piccola e media impresa. A prima vista, un limite. Ma anche uno stimolo strutturale alla cooperazione tra piccola impresa e università.

Ecco, dunque, un altro fronte dell’impegno che l’Associazione assume nella costruzione di legami e collaborazioni nell’area milanese.

Piccola e grande

Qualche settimana fa, ricevendo la laurea ad honorem in ingegneria, un nostro imprenditore, Gianfelice Rocca, ricordava come la storia della sua azienda, oggi una grandissima impresa globale, sia la storia di un’impresa nata, vissuta e cresciuta in collaborazione con un’università, il Politecnico di Milano.

Qualche giorno dopo, presentando un lavoro di ricerca realizzato in collaborazione con Assolombarda, il prof. Quirico Semeraro dello stesso Politecnico rilevava che la struttura di formazione e ricerca di quell’ateneo funziona come una rete di piccole imprese che condividono alcuni valori (la mission, il brand…) e alcuni servizi comuni. Restando al caso di Techint, dunque, potremmo dire che è stata una rete di piccole imprese (il Politecnico) ad aiutare la crescita di una grande impresa.

È solo un esempio, un modo per sottolineare che, in un quadro di volontà di costruire relazioni forti per il nostro territorio, la contrapposizione tra il sistema della piccola-media impresa e quella grande è del tutto priva di senso.

È normale che le specificità che derivano dalla dimensione generino esigenze e problemi particolari (penso all’accesso al credito, alla semplificazione burocratica…), ma queste esigenze e questi problemi trovano nel rapporto con la grande impresa un terreno di soluzione funzionale allo sviluppo.

Penso anche al ruolo rilevante che possono avere, utilizzati con intelligenza e visione di sistema, Fondimpresa e Fondirigenti. Ci sono esempi estremamente significativi in questa direzione. Come il progetto Sirti, nato in Assolombarda e diventato ben presto una buona pratica a livello nazionale: un progetto di formazione, finanziato da Fondimpresa, che ha coinvolto tutta la rete di fornitori dell’azienda e ha costituito una vera leva di innovazione, crescita e sviluppo delle piccole imprese.

I rapporti con le Organizzazioni sindacali

Costruire punti di forza per il nostro territorio significa anche confronto e collaborazione con le organizzazioni sindacali, nella tradizionale linea di pragmatismo e innovazione che distingue l’area milanese e i nostri rapporti con i rappresentanti del mondo lavoro.

Con loro, ricerchiamo e ricercheremo con tenacia obiettivi da condividere e terreni di impegno comune, consapevoli che lo sviluppo del territorio e delle imprese è anche funzione della qualità del confronto con il sindacato.

Insieme, continueremo anche quell’utile lavoro di lettura condivisa della realtà locale che ci permette, anno dopo anno, di pubblicare il rapporto “Il lavoro a Milano”.

Così come abbiamo fatto finora, cercheremo di definire accordi su materie di interesse comune e di particolare rilevanza, come la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Si tratta di temi prioritari, fondanti la nostra responsabilità di imprenditori e dirigenti. In Assolombarda come in Confindustria, questo impegno non incontrerà pause.

Come non si fermerà il dialogo sugli ammortizzatori sociali, né quello sulla formazione, strumento ancora più importante nei periodi di crisi.

Proprio la difficoltà del momento, infatti, richiede uno sforzo ulteriore per superare interessi di parte e operare insieme, utilizzando tutti i finanziamenti disponibili, per una programmazione congiunta di interventi formativi sempre più efficaci, a sostegno delle nostre imprese e delle persone che vi lavorano.

Daremo insieme un contributo fattivo perché si realizzi un ambiente normativo idoneo a favorire il miglior presidio e il miglior sviluppo delle attività d’impresa.

La sostenibilità

La sostenibilità ambientale è un altro ambito nel quale vogliamo dare in nostro apporto. Un tema che solo il poco tempo a disposizione mi impedisce di sviluppare oggi, ma che sarà comunque terreno di dialogo e di azione lungo tutto il percorso che ci porterà fino all’Expo del 2015.

Un campo rispetto al quale apprezziamo il lavoro fatto dal Ministero con grande visione e pragmatismo.

Le infrastrutture

Le infrastrutture sono evidentemente il segno fisico delle interrelazioni all’interno della città e del territorio e con l’esterno: è quasi miracoloso che Milano sia rimasta città così aperta, con i ritardi che ha accumulato nella realizzazione di reti di collegamento indispensabili da decenni.

Ora che alcune iniziative sono state avviate, ne seguiremo passo per passo la realizzazione, esattamente come si segue un progetto all’interno di un’impresa.

E continueremo a incalzare, come e più di quanto abbiamo fatto finora, le istituzioni e i policy maker perché:

  • la rete autostradale e stradale sia potenziata nell’ambito di un disegno organico e attraverso la realizzazione di opere che attendiamo ormai da decenni;
  • la rete ferroviaria sia rafforzata, con il completamento dei grandi corridoi transeuropei e il potenziamento dei collegamenti di livello regionale e locale;
  • le infrastrutture urbane, a partire dalla rete delle metropolitane, siano ampliate e rese funzionali allo sviluppo di tutta l’area che ha in Milano il proprio baricentro;
  • siano realizzate nuove strutture per favorire l’intermodalità delle merci e siano potenziati i servizi di trasporto pubblico, per migliorare la mobilità dei lavoratori pendolari;
  • Milano e la Lombardia possano disporre di un sistema aeroportuale efficiente in grado di collegarle direttamente e in modo puntuale con il resto del mondo.

Allo stesso modo, continueremo a impegnarci al massimo perché nei prossimi anni il nostro territorio disponga di infrastrutture e servizi adeguati a supportare lo sviluppo di quel tessuto di piccole, medie e grandi imprese che ne rappresenta la principale ricchezza.

È un risultato che si può cogliere solo se le scelte di insediamento di nuove strutture di logistica seguiranno un criterio di accessibilità programmata, e non altri. È una questione di metodo: ipotizzare di congestionare già da oggi le infrastrutture di domani è impensabile.

La vicenda di Malpensa e del sistema aeroportuale milanese, a sua volta, appare paradossale.

Non credo alla teoria della cospirazione anti Malpensa, non credo alla tesi del delitto. Piuttosto, penso a una lunga catena di errori di visione e di gestione: ma gli errori, si sa, a volte sono peggio dei delitti.

Nel 1994 il progetto Malpensa veniva inserito nell’elenco di infrastrutture prioritarie dell’Unione Europea, con l’intento di realizzare un hub per l’Europa del Sud.

Ma la realtà si è allontanata dalle intenzioni. Nel tempo, l’idea originaria ha cambiato forma, assumendo le caratteristiche di un progetto di sostegno a una compagnia aerea allora insostenibile. Non quelle di un progetto al servizio di un territorio che ha il suo asset fondamentale proprio nelle relazioni internazionali!

Nessuno pensa a interferenze nelle scelte strategiche e gestionali della nuova Alitalia, ci mancherebbe altro. La compagnia, notoriamente basata a Roma, opera dove ritiene conveniente operare: su questo punto, nessuna incertezza.

Ma l’attività di collegamento aereo è una di quelle per cui la regolamentazione ha un ruolo determinante per creare le condizioni di concorrenzialità e di allocazione delle scelte delle imprese.

Le istituzioni e il Governo hanno il dovere di creare le condizioni perché altre compagnie possano sviluppare traffico sugli scali lombardi, e su Malpensa in particolare, a servizio dell’area che crea maggiore ricchezza per il Paese e genera quasi un terzo dell’interscambio nazionale.

Sono condizioni che attengono alle infrastrutture di collegamento e alle stesse condizioni di accesso alle destinazioni extra-europee che sono regolate da accordi bilaterali tra gli Stati. In altre parole, si tratta di rispettare le iniziative private ma con un uso pro-concorrenziale degli asset pubblici, tra cui rientrano appunto gli accordi bilaterali tra gli Stati in tema di trasporto aereo e le regolamentazioni del traffico.

Questo è un altro punto su cui Assolombarda continuerà a far sentire la sua voce.

Le regole per le infrastrutture

Ancora una volta, dunque, è il tema delle regole che emerge come rilevante per la correttezza della competizione e lo sviluppo di un sistema territoriale.

Allora, possiamo dire che l’infrastruttura più importante per la competitività è quella immateriale delle regole.

È la costanza delle norme che rende attrattivo un Paese. È la costanza delle regole che rende finanziabili i grandi progetti industriali. È la loro semplificazione uno dei fattori di spinta degli investimenti.

L’esempio delle reti di trasporto dell’energia può essere utile: un sistema di regole certe, costanti nel tempo, che garantisce l’accesso a tutti gli utilizzatori senza discriminazioni, e l’istituzione di un’Autorità indipendente che definisce le regole di accesso con trasparenza, consentono di programmare e realizzare infrastrutture essenziali al funzionamento del Paese.

Così si creano condizioni per lo sviluppo delle infrastrutture di concorrenza. E la stabilità del sistema diminuisce il rischio, consentendo il finanziamento degli investimenti in una logica di remunerazione di lungo periodo anche in momenti di crisi e svolgendo, dunque, un’azione anticiclica.

In questo campo, l’Italia ha realizzato una struttura normativa che è il riferimento per molti Paesi europei. Mi domando perché il sistema non possa essere esteso a tutte le realtà che generano tariffe, consentendo una trasparenza di gestione, un finanziamento fisiologico e la realizzazione di grandi investimenti.

Penso al settore dell’acqua, ma se ne possono identificare altri.

Di fronte alle esigenze di infrastrutture che si prospettano in Europa e non solo, questa via mi sembra facile da seguire e assolutamente virtuosa. E non richiede risorse di finanza pubblica.

La competitività

I temi generali che riguardano la competitività del nostro sistema economico sono stati illustrati ancora recentemente dalla Presidente Emma Marcegaglia. Pochi giorni fa li ha ribaditi il Presidente di Federchimica, Giorgio Squinzi.

Gli stessi temi sono richiamati nell’attività quotidiana di Confindustria e di Assolombarda: il peso fiscale eccessivo, il completamento delle liberalizzazioni, lo sviluppo delle infrastrutture di mobilità e di quelle della conoscenza, lo snellimento della burocrazia, il funzionamento vitale dei sistemi di finanziamento, l’organizzazione della ricerca e molti altri ancora.

Oggi non c’è tempo per sottolinearli, ma sono sempre ben presenti, tutti, come premesse al nostro lavoro.

Ne scelgo due, simbolicamente agli estremi della scala dimensionale del contesto normativo in cui si muovono le nostre imprese: da un lato, l’Unione Europea; dall’altro, il federalismo fiscale.

Di fronte alla crisi, l’Unione Europea è intervenuta con pragmatismo. Ma ora deve, soprattutto, recuperare una soggettività politica adeguata a rappresentare nel quadro mondiale i suoi 27 paesi, il suo mercato di 500 milioni di persone.

Deve recuperare una soggettività in grado di contrastare in modo vigoroso quei protezionismi e nazionalismi che stanno tornando a radicarsi, e ai quali la crisi ha fornito il pretesto di nuove argomentazioni. Una soggettività capace, al contrario, di favorire collaborazioni rafforzate, concrete e incisive, tra grandi paesi, a loro volta utili a una ripresa di autorevolezza dell’Unione.

Soprattutto, è tempo di costruire una classe dirigente capace di farsi leadership responsabile all’interno dell’Europa e nello scenario globale. Una classe dirigente capace di incidere nella costruzione di un sistema semplice di regole che, unendo pragmatismo e visione, concorra a riportare l’economia reale al centro dello sviluppo.

Quanto al federalismo fiscale, penso che la sua attuazione sarà un banco di prova essenziale per misurare la capacità del Paese di cogliere la sfida dell’efficienza e di definire buone regole pubbliche.

I principi sui quali il federalismo fiscale è stato approvato sono complessivamente condivisibili; e certo non si poteva andare avanti ancora in una situazione in cui le Amministrazioni locali erano titolari del 50% della spesa e del 20% delle entrate tributarie.

Ma la partita vera, l’attuazione, è ancora tutta da giocare.

Vincerla vuol dire usare il federalismo fiscale per contenere la spesa pubblica complessiva, per ricercarne l’efficienza, per responsabilizzare chi amministra la cosa pubblica misurando i risultati rispetto agli obiettivi fissati e alle risorse disponibili, per semplificare gli adempimenti per le imprese e i cittadini, per contrastare l’evasione fiscale.

E per avvicinare cittadini e amministratori. In parole semplici: un aumento sostanziale di democrazia.

La cultura

Il tema di fondo delle riflessioni che ho voluto condividere con voi oggi, all’inizio del mio mandato, riguarda la necessità di creare un sistema di relazioni stabili e forti tra i protagonisti della vita di Milano, che svilupperà la sua coesione e la sua economia se sarà capace di costruire questa nuova identità.

Il mio è solo un cenno, ma in questo processo le istituzioni culturali svolgeranno un compito importante nel proporre, discutere e stimolare una cultura della nostra identità. Penso alle istituzioni storiche, a quelle nuove che nasceranno e a quelle che, negli ultimi anni, hanno ritrovato uno slancio esemplare: una per tutte, la Triennale di Milano.

Una considerazione. È molto significativo che, tra le tante nuove e interessanti architetture realizzate nella città, quelle delle università siano tra le più riuscite: Bicocca, il Politecnico alla Bovisa e lo splendido nuovo edificio della Bocconi.

Dove un tempo sorgevano le fabbriche, a rappresentare simbolicamente lo sviluppo della nuova impresa, fatta di conoscenza, ci sono università.

È un modo di intendere anche visivamente il legame tra impresa e sapere. È emozionante, provate a farlo, vedere gli studenti che frequentano i luoghi che hanno ancora il segno dell’industria nell’aria e nello skyline, per apprendere competenze che faranno anche nascere nuove imprese.

Expo per i giovani

L’Expo è un progetto straordinario per catalizzare e unire le energie della città: un’intuizione e una visione di cui oggi abbiamo ancora più bisogno.

Se è giusto e ovvio che ci siano strutture dedicate alla sua realizzazione, lo è ancor più che l’Expo diventi, e lo diventerà, un progetto sentito dalla città come modo di esporre non solo la propria la propria immagine, ma la propria reputazione e la propria identità.

Chi governa – dice il Costituto senese (ma noi oggi diremmo: ciascuno di noi) – deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini.”

Anche Assolombarda si farà portatrice di idee. Oggi ne avanzo due, e non mene voglia qualcuno, tra coloro che gestiscono i progetti, se ci ha già pensato: vorrà dire che avranno più forza.

Tutti pensiamo che l’Expo sarà un catalizzatore di idee: ad essere esposto, sarà il nostro sapere, il sapere della scuola, dell’università, delle nostre imprese, insieme a quello degli altri paesi. Torna, ancora una volta, la forza relazionale di Milano.

E allora, perché non utilizzare i rapporti internazionali che si intensificheranno lungo il percorso di qui al 2015 per promuovere sempre di più il nostro sistema universitario all’estero?

Perché non lanciare, d’intesa con il sistema universitario, una sorta di programma Erasmus straordinario che permetta a migliaia di giovani da ogni parte del mondo di venire a formarsi nelle nostre università e a fare esperienza nelle nostre imprese, proprio in occasione dell’Expo?

Proveremo a elaborare questo progetto, con una forte carica di entusiasmo, nel nostro tavolo di lavoro Assolombarda-Rettori per sottoporlo al Sindaco e agli organizzatori della manifestazione. Sarà un messaggio bellissimo di fiducia.

Un'Associazione proponente

Assolombarda svolgerà come sempre, nel prossimo quadriennio, il suo ruolo di rappresentanza del sistema delle imprese e dei suoi valori, per superare le condizioni che rendono difficile lo svolgimento dell’attività d’impresa, dando ascolto alle imprese stesse, e riportandone le istanze.

Cercherà di concorrere a creare un ambiente competitivo, in dialogo con il mondo sindacale e con le istituzioni.

Non solo: sarà soprattutto un’Associazione proponente, più che richiedente.

Porrà all’attenzione i valori di un’imprenditoria libera e solidale.

Cercherà di creare legami e relazioni per rafforzare il nostro territorio.

I desideri

“Le città – scriveva Italo Calvino – come i sogni sono costruite di desideri e di paure.”

Se c’è una cosa che ci accomuna tutti, è la volontà di lavorare per abbandonare le paure e realizzare i desideri.

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