Rapporto Annuale 2021. La situazione del Paese

Report annuale ISTAT.

Congiuntura economica e sociale

Economia
Il Pil italiano nel 2020 è diminuito del -8,9%, una variazione dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna. L’Unione europea ha sospeso i vincoli di bilancio per i Paesi membri: nel nostro Paese il disavanzo ha toccato il 9,5% del Pil, contribuendo a far salire notevolmente l’incidenza del debito, che ha raggiunto il 155,8%. Nel primo trimestre 2021, l’economia italiana ha segnato un lievissimo recupero congiunturale (+0,1% il Pil), un risultato migliore di quello registrato dalle altre grandi economie europee. I primi segnali di stabilizzazione dell’economia riflettono soprattutto il recupero del settore manifatturiero. Nel terziario, diversamente, l’attività ha pienamente recuperato in alcuni comparti ma in altri, in particolare alberghi e pubblici esercizi, il fatturato resta lontanissimo dal livello precedente la crisi.
La crisi ha investito anche il mercato del lavoro: il calo dell’occupazione ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato. A maggio 2021 gli occupati risultano in diminuzione di 735mila unità rispetto a prima dell’emergenza. La crisi sanitaria ha penalizzato particolarmente i settori a prevalenza femminile e i giovani.
Le recenti previsioni Istat stimano per il 2021 una robusta ripresa dell’attività, dei consumi e degli investimenti, spinti anche dall’avvio del PNRR: la crescita del Pil dovrebbe essere del 4,7% e proseguire, con un ritmo di poco inferiore, l’anno successivo.

imm1 - previsioni PIL

Impatto sulle famiglie
La povertà assoluta è in forte crescita e interessa nel 2020 oltre 2 milioni di famiglie (7,7% dal 6,4% del 2019) e più di 5,6 milioni di individui (9,4% dal 7,7%). Coerentemente con l’andamento dei consumi, la condizione peggiora di più al Nord che al Centro e nel Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno vi è ancora i l’incidenza più elevata (9,4% l’incidenza familiare), nel Centro la più bassa (5,4%).

Impatto demografico e conseguenze sanitarie

Il quadro demografico nel 2020 è contraddistinto dal nuovo minimo storico di nascite dall'Unità d'Italia e da un massimo di decessi dal secondo dopoguerra: i nati della popolazione residente sono stati 404.104, in diminuzione del 3,8% rispetto al 2019 e di quasi il 30% a confronto col 2008.
La pandemia ha avuto un effetto drammatico sulla mortalità, non solo per i decessi causati direttamente, ma anche per quelli dovuti all’acuirsi delle condizioni di fragilità della popolazione, soprattutto anziana. Nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato pari a 746.146, il valore più alto registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra. Rispetto alla media 2015-2019 si sono avuti 100.526 decessi in più (15,6% di eccesso).
La pandemia ha avuto un impatto sull’intero sistema sanitario. Nel 2020 le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate sono diminuite del 20,3% rispetto all’anno precedente (nel 2019 la flessione era stata dell’1%).
La crisi ha inoltre amplificato gli effetti del malessere demografico strutturale che da decenni spinge sempre più i giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta: nel2020 si sono celebrati meno di 97mila matrimoni, quasi la metà rispetto al 2019.
Anche la mobilità ha avuto conseguenze dalla pandemia: a confronto con la media del periodo 2015-2019, nel 2020 la mobilità residenziale interna è diminuita del 2,8%; molto più consistente è stato il calo per i movimenti da e verso l’estero: -30,6% le immigrazioni e -10,8% le emigrazioni.

Capitale umano

Il nostro Paese si colloca al penultimo posto nella graduatoria Ue27 per quota di laureati tra i giovani 30-34enni (27,8% contro 40% della media europea), anche se il progresso nell’ultimo decennio è stato in media più rapido.

imm2 - laureati

Nel 2020, il 13,1% dei giovani di 18-24 anni ha abbandonato precocemente gli studi (contro 10,1% in Ue27).

imm3 - abbandono 18-24

Nel 2020 sono 2 milioni e 100mila i giovani di 15-29 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa (i cosiddetti NEET), pari a circa un quinto del totale dei NEET europei.

imm4 - NEET

Mercato del lavoro

Le limitazioni alle attività economiche, agli spostamenti e alla socialità dovute alle misure di contrasto alla pandemia nel 2020 hanno avuto effetti sull’occupazione molto eterogenei fra i settori di attività economica. Le perdite sono state particolarmente accentuate per: attività di alberghi e ristoranti (-12%), servizi alle famiglie (-9,6%), commercio (-3%) e noleggio, attività professionali e servizi alle imprese (-2,9%). Il lavoro dipendente a termine, da solo, ha assorbito oltre l’85% del calo complessivo di occupati.

Il sistema delle imprese tra crisi e ripresa

Tra le imprese manifatturiere con almeno 20 addetti (che nel 2018 spiegavano più dell’80% del fatturato della manifattura e oltre il 90% dell’export):
a) una su due ha subito nel 2020 riduzioni di fatturato pari ad almeno il 10%
b) una su quattro ha perso almeno il 25%;
c) solo un quarto delle imprese è riuscito a tenere variazioni positive o nulle, grazie alla capacità di tenuta sui mercati esteri.
Istat ha classificato le imprese con almeno 3 addetti in quattro classi di solidità strutturale: Solide (in grado di reagire a una crisi esogena, con lievi conseguenze sulla operatività aziendale); Resistenti (con elementi di vulnerabilità che, nelle stesse condizioni, possono limitare la propria esposizione alla crisi); Fragili (colpite severamente ma non a rischio operativo); A rischio strutturale (imprese che subiscono conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività). Le Solide sono solo l’11%, ma spiegano il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto. All’opposto, le unità A rischio strutturale sono il 44,8% del totale ma hanno un peso economico più limitato (20,6% degli addetti e 6,9% del valore aggiunto). Poco numerose le Fragili (circa il 25%; 15,2% degli addetti e 9,4% del valore aggiunto) e le Resistenti (19,0% del totale, 17,9% dell’occupazione e 14,9% del valore aggiunto).

Digitalizzazione

Le tecnologie digitali rappresentano una componente strategica per la competitività dei paesi e per l’evoluzione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità. L’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione circa il 27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (222 miliardi) e nei fondi React-Eu (13 miliardi).

Investimenti e ambiente: il quadro all'avvio del PNRR

Il PNRR si concentra su due temi chiave: 1) la ripresa del processo di accumulazione del capitale materiale e immateriale e 2) il rafforzamento del percorso verso la transizione energetica ed ecologica.

Produttività, investimenti, ricerca: le tre direttrici per la ripresa
Le misure diffuse dall’Ocse confermano che una parte importante del differenziale negativo di crescita del Pil per ora lavorata osservato in Italia sia attribuibile alla stagnazione della produttività totale dei fattori, aumentata in misura marginale tra il 2010 e il 2019 (+0,4% in termini cumulati). Lo stesso indicatore ha segnato incrementi del 2,4% in Spagna (per la quale le misure si fermano al 2018), del 3,3% in Francia e del 6,6% in Germania.

imm5 - produttività

Alla bassa produttività si aggiunge il grado insufficiente di accumulazione nell’economia italiana, testimoniato dalla quota di investimenti totali sul Pil, che nel 2019 è del 18,0%, inferiore di quattro punti a quella dell’insieme dei paesi dell’Uem.

La spesa delle imprese in Ricerca e Sviluppo (R&S) a prezzi correnti è cresciuta in Italia in modo sostenuto tra il 2007 e il 2019 (+4,6% la variazione media annua complessiva) e a un ritmo simile a quello della Germania (+4,8%).
L’Italia resta tuttavia distante dalle performance delle altre grandi economie europee in termini di intensità di spesa in R&S sul Pil, sia per la componente privata che per quella pubblica. Alla debole dinamica della spesa in R&S del settore pubblico contribuisce la scarsa interazione con il sistema produttivo. In particolare, nel 2018, la quota di spesa dei centri di ricerca finanziata dalle imprese è pari al 3,8% del totale, contro il 6,9% in Spagna, l’8% in Francia e il 9,9% in Germania. Quella finanziata dalle università (6,0%) è invece più elevata rispetto a Francia e Spagna, ma inferiore a quella osservata in Germania (13,5%).

Transizione energetica

Nel periodo 2008-2019 la riduzione delle emissioni di gas serra dell’economia italiana (famiglie e attività produttive) è del 25,5% (da 579 a 431 milioni di tonnellate di CO2 equivalente), più pronunciata della riduzione media della Ue27, pari al 17,5%. Per il 2020, anche in connessione con la caduta dell’attività economica e le limitazioni agli spostamenti, si stima una riduzione del 9,6% circa rispetto all’anno precedente

Il potenziamento dei servizi di trasporto pubblico locale (Tpl) è la principale leva per la transizione verso un sistema di mobilità urbana sostenibile. La rete del Tpl su ferro è in crescita ma resta circoscritta a poche città. Nel 2019, il tram è presente in 11 comuni capoluogo, con una rete complessiva di 369,2 km (+8,8% dal 2014) mentre sono sette le città che dispongono di una metropolitana, con una rete complessiva di 191,2 km (+9,4% dal 2014). La flotta di autobus e filobus costituisce oltre il 95% dell’offerta complessiva di Tpl. Nei comuni capoluogo, la quota di mezzi a basse emissioni o conforme allo standard più avanzato (Euro 6) è pari a meno di un terzo, mentre ancora oltre un terzo è in classe Euro 4 o inferiore, con implicazioni negative anche per la qualità complessiva del servizio.

La quota di rifiuti smaltiti in discarica, pari nel 2019 al 20,9%, è ancora molto superiore a quella massima del 10% definita negli obiettivi comunitari, sebbene in riduzione rispetto al passato, grazie alla diffusione del recupero di materia ed energia.

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