Rapporto annuale 2016 - La situazione del Paese
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Rapporto annuale dell'ISTAT.
In sintesi
L’Istat ha pubblicato il consueto rapporto annuale sull'Italia organizzato in cinque capitoli, che di seguito vengono sintetizzati: l’evoluzione dell’economia italiana, le trasformazioni demografiche e sociali, le dinamiche del mercato del lavoro, il sistema delle imprese, il sistema della protezione sociale e le sfide generazionali.
Inoltre, quest’anno trasversalmente ai capitoli vengono offerti spunti di riflessione sul tema delle generazioni, così distinte:
1) Generazione della ricostruzione (nati 1926-1945): non ha goduto della scolarizzazione di massa, le donne hanno avuto prevalentemente un ruolo di tipo tradizionale, dedicandosi alla casa e alla cura dei figli. Questa generazione è stata profondamente segnata dalla Seconda guerra mondiale.
2) Generazione del Baby boom (nati 1946-1965) distinta in due sottogruppi tra loro molto diversi: la Generazione dell’impegno (i nati dal 1946 al 1955), protagonista di grandi battaglie sociali e delle trasformazioni culturali degli anni Settanta; la Generazione dell’identità (dal 1956 al 1965) che si connota per una maggiore appartenenza politica o per una visione più orientata alla realizzazione di obiettivi personali.
3) Generazione di transizione (nati 1966-1980): chi vi appartiene è cresciuto tra la fine del blocco sovietico e l’allargamento a est dell’Unione europea, ha completato gli studi più tardi raggiungendo un titolo di studio più elevato rispetto ai propri genitori, ha ritardato l’ingresso nel mercato del lavoro e sempre più spesso ha sperimentato un’occupazione flessibile e precaria.
4) Generazione del millennio (nati 1981-1995): sono entrati nella vita adulta nei primi 15 anni del nuovo millennio. Sono la generazione dell’euro e della cittadinanza europea, ma anche quella che sta pagando più di ogni altra le conseguenze economiche e sociali della crisi.
5) Generazione delle reti (nati dal 1996 in poi): sono nati e cresciuti con l’avvento delle nuove tecnologie informatiche e hanno percorso nell'era di Internet tutto o buona parte del loro iter formativo. Hanno vissuto in pieno i processi di globalizzazione e sono più vicini alla multiculturalità.
L’EVOLUZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA
Nel 2015 il ciclo economico internazionale evidenzia un rallentamento: alla decelerazione ancora in atto nei paesi emergenti si è contrapposta la sostanziale stabilità dell’economia statunitense e la moderata ripresa in Giappone e nell'Uem. Gli anticipatori suggeriscono la prosecuzione di una graduale ripresa della fase ciclica internazionale nei primi mesi del 2016 (nonostante il rallentamento delle economie emergenti).
In Italia, dopo tre anni di rallentamento, il Pil torna a crescere nel 2015 (+0,8%): ciò riflette la marcata accelerazione dell’attività nel primo trimestre e il progressivo rallentamento nel resto dell’anno. Secondo la stima preliminare, nel primo trimestre 2016 il Pil italiano registra una lieve crescita (+0,3% sul trimestre precedente, +1% a livello tendenziale).
Nel 2015 gli investimenti fissi lordi tornano a crescere moderatamente, interrompendo la contrazione dei tre anni precedenti. Il fatturato industriale nel 2015 rimane pressoché invariato (+0,3% il dato corretto per gli effetti di calendario): alla dinamicità della componente estera (+1,2%) si contrappone il lieve calo di quella interna (-0,2%). Stabile anche l’inflazione (nel 2015 +0,1%), influenzata soprattutto dall’andamento dei beni energetici.
Andamento del Pil e contributo alla crescita - Anni 2010-2015 (variazioni congiunturali)
LE TRASFORMAZIONI DEMOGRAFICHE E SOCIALI
Nel 2015 la popolazione residente si riduce di 139 mila unità (-2,3 per mille) rispetto all’anno precedente. Al 1° gennaio 2016 la popolazione è stimata pari a 60,7 milioni di residenti, di cui 55,6 milioni con cittadinanza italiana.
Anziché crescere, la popolazione invecchia. L’indice di vecchiaia al 1° gennaio 2016 è pari a 161,1 over 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni. La simultanea presenza di una elevata quota di persone di 65 anni e oltre e di una bassa quota di popolazione al di sotto dei 15 anni colloca il nostro Paese tra i più vecchi del mondo, insieme a Giappone e Germania.
Sempre meno nascite e decessi in aumento: il saldo naturale negativo ostacola la crescita. Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (otto ogni mille residenti), 15 mila in meno rispetto al 2014 e nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, giungendo a 1,35 figli per donna.
Il peso delle nuove generazioni in Italia è fra i più bassi d’Europa: meno del 25% della popolazione italiana ha un’età compresa tra 0 e 24 anni, una quota che si è pressoché dimezzata tra il 1926 e il 2016.
Principali indicatori demografici per ripartizione - Anni 2014-2016
Piramide delle età della popolazione italiana e straniera residente in Italia al 1° gennaio 2015 (valori assoluti)
Un fenomeno che continua a interessare le nuove generazioni è la prolungata permanenza nella famiglia d’origine, molto più diffusamente di quanto avveniva in passato. Nel 2015 il 70,1% dei maschi di 25-29 anni della Generazione del millennio e il 54,7% delle femmine vive ancora in famiglia con il ruolo di figli. Nel 1995, per le persone fra 25 e 29 anni della Generazione di transizione queste proporzioni erano rispettivamente il 62,8% per gli uomini e il 39,8% per le donne. La prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine è dovuta a molteplici fattori, tra cui: l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà, gli ostacoli a trovare un’abitazione. L’effetto di questi fattori è stato amplificato negli ultimi anni dalla congiuntura economica sfavorevole.
LE DINAMICHE DEL MERCATO DEL LAVORO
Nel 2015 il mercato del lavoro italiano registra una riduzione del numero di disoccupati (dopo sette anni di aumento ininterrotto); il tasso di disoccupazione scende all’11,9% e, contemporaneamente, cresce il tasso di occupazione al 56,3%.
Nel confronto europeo l’Italia mostra ancora dei gap: oltre ad avere valori inferiori alla media europea (9,4% tasso di disoccupazione e 65,6% tasso di occupazione), l’Italia è tra i paesi che non ha ancora recuperato il tasso di occupazione pre crisi.
Le distanze dei livelli occupazionali italiani da quelli europei si registrano per tutte le fasce d’età: il tasso di occupazione italiano dei 15-34enni è il 39,2% (vs 55,7% media UE), quello dei 35-49enni è il 71,9% (vs 80,2% media UE) e quello degli over50enni è il 56,3% (vs 61,8% media UE).
Il vantaggio occupazionale conquistato dalle generazioni più anziane con l’investimento in istruzione non coinvolge quelle più giovani, particolarmente penalizzate dalla crisi: il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni dal 79,5% nel 2005 cade al 73,7% nel 2015.
Nel 2015 sono più di 2,3 milioni i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare.
Le famiglie jobless (in cui nessuno è occupato) passano da 10,0% del 2008 a 14,2% delle famiglie con almeno un componente di 15-64 anni e senza pensionati.
IL SISTEMA DELLE IMPRESE: COMPETITIVITÀ E DOMANDA DI LAVORO
Tra le imprese sopravvissute alla seconda ondata della recessione (ossia tra il 2010 e il 2013) il 50,2% ha incrementato il valore aggiunto, il 21,4% gli addetti e il 14,8% sia l’output sia l’occupazione. Il 43,2% ha invece subìto perdite di valore aggiunto e di addetti.
Il ruolo delle imprese esportatrici nella creazione del valore aggiunto manifatturiero è cresciuto negli anni della seconda recessione. A ciò ha contribuito anche la maggiore vivacità della domanda estera, che ha indotto le imprese a intensificare la propria presenza sui mercati internazionali.
Dinamica valore aggiunto e addetti per profilo strategico d'impresa - Anni 2010 e 2013 (variazioni percentuali mediane)
Il rapporto dell’Istat mette a confronto l’Italia e la Germania secondo il grado di interazione tra settori della manifattura e dei servizi: il grado di densità delle relazioni intersettoriali in Germania è del 43%, superiore al 37% che si registra per l’Italia. In Italia il minor grado di interazione, in particolare tra manifattura e servizi alle imprese, limita sia la capacità di attivazione della crescita da parte della manifattura sul resto del sistema economico, sia il trasferimento di efficienza tra i comparti. Di conseguenza, nel periodo 2011-2014 la capacità di trasmissione dell’impulso fornito dalla domanda estera alla crescita economica in Italia è stata più bassa che in Germania. Va inoltre considerato che il minor acquisto di servizi da parte della manifattura italiana può rappresentare un freno all’efficienza delle attività industriali.
IL SISTEMA DELLA PROTEZIONE SOCIALE E LE SFIDE GENERAZIONALI
La spesa per prestazioni sociali è pari al 27,7% del Pil nella media dei Paesi Ue e al 28,6% in Italia.
Ciò che differenzia l’Italia dagli altri paesi è la distribuzione per tipo di spesa sociale: ad esempio, metà della spesa sociale italiana è destinata alle pensioni (per vecchiaia) contro il 40,2% della Francia e il 32,6% della Germania.
Spesa per prestazioni sociali per tipo di rischio/bisogno in alcuni paesi UE - Anno 2013 (valori percentuali)
Dal 2003 al 2014 l’età di pensionamento si è progressivamente innalzata. L’età media dei nuovi pensionati di vecchiaia è passata da 62,8 a 63,5 anni.
Aumenta il numero di anni di contribuzione con cui si arriva al pensionamento. Tra i nuovi pensionati di vecchiaia l’incidenza di coloro che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9 al 37,5% tra il 2003 e il 2014, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni passa dal 37,6 al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6 al 28,8%.
Il rapporto completo dell'Istat è disponibile al seguente link: report completo.
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