Le previsioni del CSC: +0,4% il PIL italiano nel 2023, +1,2% nel 2024
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Rapporto di previsione Centro Studi Confindustria.
Di seguito le principali evidenze del Rapporto di Previsione presentato dal CSC in data 25 marzo 2023.
Nel 2023 la crescita del PIL italiano è +0,4%; frenano consumi e investimenti
Secondo il Centro Studi di Confindustria, il Pil italiano registra +0,4% nel 2023, un forte rallentamento rispetto alla media 2022 (+3,7%), ma comunque un andamento più favorevole della stagnazione (+0,0%) prevista a ottobre 2022. La variazione del +0,4% è tuttavia pari alla variazione acquisita per il 2023, ovvero quella che si avrebbe se i quattro trimestri registrassero una crescita nulla. Quindi, il miglioramento dello scenario CSC per il 2023 è esclusivamente legato alla migliore dinamica dell’economia nella seconda metà del 2022; escludendo il trascinamento, per quest’anno si conferma una crescita piatta. La crescita nel 2024 è invece prevista in miglioramento al +1,2% annuo.
I consumi frenano nel 2023 (+0,2%, al di sotto del trascinamento del 2022 pari a +0,4%). Infatti, la performance positiva registrata nel 2022 grazie all’extra risparmio accumulato nel 2020-2021 e alla tenuta del reddito disponibile reale si è interrotta nell’ultimo trimestre dell’anno, per effetto del ridimensionamento del reddito e di pressioni inflazionistiche. La debolezza dei consumi si attende soprattutto per la prima parte del 2023, mentre si attende una ripresa nella seconda parte del 2023, in concomitanza con il rientro dei prezzi, e un rafforzamento nel 2024 (+1,4%). Il biennio di previsione si chiuderà con una spesa delle famiglie ancora sotto i livelli del 2019 (-0,4%).
Gli investimenti delle imprese perdono slancio nel 2023 (+0,2%), per poi ripartire nel 2024 (+2,0%). Al ridimensionamento degli investimenti nel 2023 contribuiscono in particolare un graduale rientro delle agevolazioni edilizie (-0,9% gli investimenti in costruzioni, a confronto con prospettive migliori per gli investimenti in macchinari, +1,2%), condizioni bancarie più stringenti e un costo del credito in salita (a gennaio 2023 4,15% per le PMI, da 1,75% a fine 2021; 3,42% per le grandi, da 0,89%). L’allentamento previsto delle condizioni monetarie in Eurozona nel 2024 consentirà una ripartenza. Alla fine dell’orizzonte di previsione il flusso di investimenti sarà del +22% rispetto al pre-Covid (oltre 70 miliardi di euro).
Le esportazioni di beni e servizi, dopo la forte espansione nel 2022 (+9,4%), rallenteranno bruscamente al +1,6% nel 2023 e +2,3% nel 2024, tornando sui ritmi medi di crescita del periodo pre-Covid. Tra i principali fattori, si citano l’indebolimento del contesto internazionale (soprattutto in Europa e Stati Uniti), gli alti prezzi energetici (soprattutto rispetto agli Stati Uniti) e il riequilibrio del cambio euro-dollaro. L’export è previsto comunque in linea con il potenziale. La frenata della domanda interna e delle stesse esportazioni causerà un rallentamento delle importazioni (che tuttavia nel 2023 registreranno una dinamica superiore all’export).
L’occupazione misurata in termini di ULA è attesa in linea al ritmo di crescita del Pil nel 2023 (+0,4%) ma più debole nel 2024 (+0,8%). Il gap tra risalita del PIL e delle ULA (e il conseguente guadagno in termini di produttività), apertosi da fine 2021, permarrà quindi anche nel 2023, principalmente perché l’intensità di lavoro nei servizi non tornerà sugli stessi livelli del pre-Covid. Il tasso di disoccupazione viene previsto ancorato all’8,0% nel biennio.
Nello scenario CSC, che incorpora un prezzo del gas stabile ai valori di inizio anno, l’inflazione continuerà a frenare durante tutto il 2023, attestandosi al +6,3% (in calo da +8,1% nel 2022). Nel 2024, l’inflazione è attesa in ulteriore frenata, portandosi al +2,3% in media.
Le ipotesi alla base dello scenario di previsione del CSC
- Invasione dell’Ucraina: gli impatti economici negativi dell’invasione russa in Ucraina sono già stati scontati da famiglie, imprese e mercati finanziari e non ve ne saranno ulteriori.
- Gas: prezzo del gas in Europa sostanzialmente costante, sui livelli moderati raggiunti a inizio 2023 (50 euro/mwh, pari alla media febbraio-marzo) per i prossimi tre trimestri del 2023 e poi fino a fine 2024. Il prezzo TTF si assesterebbe quindi ben al di sotto dei 124 euro medi nel 2022. Questo comporta una netta revisione al ribasso rispetto allo scenario CSC di ottobre, quando si ipotizzavano prezzi ancora molto alti (204 in media nel 2023) (attestatosi sotto i 50 €/MWh da gennaio 2023).
- PNRR: le risorse sono spese nei tempi previsti e che sia data piena attuazione alle riforme in programma.
- Covid: non si riacutizza la pandemia; l’ipotesi di normalizzazione riguarda anche quei paesi, come la Cina, che hanno avuto recentemente una recrudescenza di casi.
Lo scenario presenta dei rischi al ribasso. In particolare, vi sono rischi di una scorretta calibrazione della politica monetaria: rialzi eccessivi da parte della Bce potrebbero deprimere troppo l’economia e accrescere frammentazione e instabilità finanziaria.
Focus industria: nel 2022 cresce la produzione e scende l’intensità energetica, anche riflettendo una ricomposizione del settore produttivo vero settori meno energy-intensive
Nel 2022 l’attività produttiva dell’industria italiana è aumentata di +0,4% rispetto al 2021 ed è stata l’unica ad aver recuperato i livelli pre-pandemici (+1,3%), a fronte di un gap ancora negativo per Spagna (-0,5%) e soprattutto Germania e Francia (rispettivamente -3,8% e -4,5%).
L’aumento della produzione industriale nel 2022 è avvenuto in parallelo a una riduzione dell’intensità energetica, scesa a 79,9 tonnellate equivalenti di petrolio per milione di euro di valore aggiunto (-10% rispetto al 2021).
L’industria italiana ha ridotto l’uso complessivo di energia anche in volume (-9,2% nel 2022 sul 2021). Diminuiscono soprattutto i consumi di gas, che registrano -6,7% nel 2022 rispetto alla media 2019-2021 (vs -14% Germania, -9% Francia, -3% Spagna), trainati dall’industria (-13,2% nel 2022 rispetto alla media 2019-2021 vs -9,4% il settore civile e -1,0% il settore termoelettrico). Scende anche il consumo di elettricità, più nell’industria (-5,6% nel 2022 rispetto al 2021) che nel totale economia (-1,0%).
Alla minor intensità energetica contribuiscono in maniera complementare un aumento dell’efficienza energetica a parità di tecnologia, impianti e macchinari, ma anche una ricomposizione settoriale della produzione verso i settori a minore intensità energetica, meno penalizzati dai rincari. Secondo il CSC, il maggior peso di tali settori, in termini di valore aggiunto, sul totale manifattura spiega in parte l’ottima dinamica della produzione industriale italiana rispetto a quella degli altri grandi paesi manifatturieri europei.
Focus export: migliorano la competitività di costo, ma soprattutto la qualità
L’export di beni è cresciuto del +13,8% sul 2019, più che per i competitor europei (Germania -2,0%; Francia -4,7%). Diversi fattori congiunturali hanno sostenuto l’export, tra i quali le ottime performance di alcuni settori, la specializzazione geografica dell’export e il cambio euro/dollaro favorevole. Tuttavia, hanno soprattutto inciso fattori strutturali.
I punti di forza individuati dal CSC sono tre.
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Rafforzamento della base manifatturiera. La dolorosa contrazione della base manifatturiera in Italia è stata accompagnata da una significativa ricomposizione dimensionale, con un aumento dal 2014 delle imprese medie e grandi, e da un conseguente aumento della quota di imprese esportatrici italiane, dal 20,8% nel 2012 al 22,8% nel 2019 (escludendo il 2020, a causa delle chiusure internazionali da Covid). Tale quota è in calo in Germania, seppure su livelli più elevati (33,8%), mentre è rimasta sostanzialmente stabile in Spagna (21,6%) e Francia (11,2%), dove è molto più bassa.
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Posizionamento diversificato lungo le filiere globali. In particolare, l’Italia si colloca nei nodi a monte delle filiere come fornitrice di semilavorati di alta qualità, riuscendo a diversificare ed essere flessibile rispetto agli shock asimmetrici che hanno colpito le supply chain internazionali, a differenza di quanto accaduto al manifatturiero tedesco (maggiormente esposto alle forniture dall’Europa dell’Est e specializzato in settori produttivi, come l’automotive, frammentati a livello globale e dipendenti dalla componentistica cinese e di altri paesi asiatici).
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Migliore competitività di costo. Nel settore manifatturiero italiano si è registrata dal 2015 un’evoluzione favorevole del costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) rispetto agli altri principali paesi europei e in particolare alla Germania. Tale fattore ha offerto negli ultimi anni un contributo positivo di circa 2-3 decimi di punto all’anno. Secondo le previsioni del CSC, nel biennio 2023-2024 il Clup in Italia sarà spinto verso l’alto dal rafforzamento della dinamica salariale; per contenere il rialzo del Clup sarà, quindi, cruciale l’andamento della produttività.
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Maggiore qualità. Dal rapporto tra i valori medi unitari dell’export e i prezzi alla produzione dei beni destinati ai mercati esteri (indicatore che riflette tutto ciò che nell’andamento del valore non è spiegato dalla dinamica dei prezzi), si evince una ricomposizione qualitativa dell’export italiano più rapida di quella tedesca e francese, sia nel lungo periodo che nell’ultimo triennio, e diffusa per settori.
Il report completo è disponibile qui.
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