La risalita modesta e i rischi di instabilità
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Scenari economici Confindustria n° 26 - Luglio 2016.
In sintesi
Nello scenario globale la matassa dell’incertezza si è ancor più ingarbugliata.
Agli alti rischi economici, acuiti dalle lunghe code della crisi, si sono sommati i ben più minacciosi e
incombenti rischi di instabilità politica.
Le sofferenze sociali derivanti da disoccupazione e impoverimento e la mancanza di risposte appropriate
hanno fatto riemergere nei paesi avanzati (soprattutto europei) pulsioni profonde di xenofobia e
nazionalismo.
Pulsioni non adeguatamente contrastate da chi ha responsabilità di governo e pericolosamente e opportunisticamente alimentate e cavalcate dalle opposizioni. Talvolta, perfino dai leader per scopi di personale conferma elettoralistica.
Come se pace, benessere e democrazia, i risultati conquistati faticosamente come esito di lunghi cammini
storici, fossero acquisiti una volta per sempre.
Sul fronte economico le banche centrali si adoperano per spengere le fiamme più alte e insidiose (deflazione,
anzitutto), ma non possono impedire al fuoco degli squilibri strutturali di covare sotto la cenere.
Spetta ad altri intervenire risolutamente.
L’Italia appare come una piccola nave (con nocchiero) in un mare in gran tempesta. E con importanti
riparazioni in corso mentre deve proseguire la navigazione.
Nello scenario ordinario prosegue, benché azzoppata dalla Brexit, la modesta risalita del PIL, cominciata
al principio del 2015, e dell’occupazione. Neppure questo risultato può essere, però, dato per scontato.
Il passaggio chiave è costituito dal referendum in autunno sulla nuova Costituzione. La vittoria del
fronte del “No” avrebbe pesanti ripercussioni economiche.
Il catalogo degli appuntamenti elettorali condizionanti il panorama mondiale non è corto. In ordine
cronologico: nel 2016 Brexit, elezioni politiche spagnole, referendum confermativo italiano ed elezioni presidenziali USA; nel 2017 presidenziali francesi ed elezioni politiche in Germania. Essi si innestano sulla
crisi greca irrisolta e sulle tensioni generate dall’emergenza migratoria.
I primi due sono già passato e, soprattutto la Brexit, fanno la storia, presente e futura.
Il risultato della consultazione spagnola, che non ha dato alcuna chiara maggioranza, come già accaduto
in dicembre, ribadisce l’importanza di avere istituzioni che garantiscano la governabilità, in mancanza
di un netto bipolarismo partitico.
L’esito del referendum britannico ha sollevato onde alte e lunghe, con conseguenze economiche e politiche
che si estenderanno per molto tempo ben aldilà della Manica.
L’origine dovrebbe far meditare: il Premier David Cameron non ha fatto altro che portare alle estreme
conseguenze la logica che piega visioni e strategie al tornaconto individuale e del momento. Una logica
che ha dettato l’agenda della gestione della crisi europea in questi anni.
Lo shock avrà sicuramente conseguenze politico-economiche negative, in funzione non solo della stringenza
dei legami con il Regno Unito ma anche della resilienza di ciascun sistema paese.
I canali di trasmissione sono i classici quattro.
Il commerciale, che è diretto, per l’indebolimento della domanda interna britannica, e indiretto, per gli
effetti che tale indebolimento ha sulle economie partner.
La svalutazione della sterlina che accresce la competitività delle merci inglesi su ogni mercato. E può
innescare una nuova guerra delle monete.
Il canale finanziario, con il crollo delle Borse che riduce la ricchezza delle famiglie e innalza il costo del
capitale di rischio e con le banche che diverranno ulteriormente più selettive, fino a generare potenzialmente
nuovi razionamenti del credito.
La fiducia, che è la cinghia di trasmissione più importante e ardua da valutare nella misura e nelle ricadute
in termini di minor propensione a consumare delle famiglie e a investire delle imprese.
Secondo le stime del CSC, il costo per l’Italia della Brexit si traduce, nel biennio 2016-17, in 0,6 punti
di PIL, 81mila unità di occupazione, 154 euro di reddito pro-capite e 113mila poveri. Ma sono stime prudenziali, che non incorporano alcune variabili qualitative, e il bilancio finale potrebbe risultare peggiore.
Tutto ciò dovrebbe indurre ad assumere rapide iniziative che rilancino crescita e occupazione e riducano
realtà e percezione del divario tra cittadini e istituzioni e della disuguaglianza tra persone.
La balbuzie nel linguaggio europeo, indotta dai nazionalismi, dovrebbe lasciare il posto a una fluente
narrazione comunitaria che rinnovi le ragioni e il senso dell’unione.
Anche per irrobustire il quadro in vista degli esiti eventualmente destabilizzanti delle altre votazioni
che avverranno nel biennio.
Lo scenario economico internazionale disegnato dal CSC non li considera, per la loro fisiologica imponderabilità. E parte comunque dalla striminzita crescita del commercio mondiale, che ormai è un dato
strutturale acquisito: +0,8% nel 2016 e +2,0% nel 2017. Essa è legata a doppio filo a un incremento del
PIL mondiale altrettanto contenuto. Per entrambi le stime CSC sono tra le più prudenti.
D’altra parte nella direzione di ritmi più lenti, accentuati ora dalla Brexit, muovono sia i principali paesi
avanzati sia, perfino più decisamente, i maggiori emergenti.
Negli avanzati, l’espansione USA si sta rivelando molto meno brillante dell’atteso. L’Area euro marcia,
invece, in linea con le proiezioni, ma ci sono sintomi di frenata, che saranno moltiplicati dalla Brexit, e
permangono ampie divaricazioni tra i membri che ne minano la tenuta. Il Giappone è stagnante.
Negli emergenti, che saranno i meno influenzati dalla Brexit, la Cina ripiega senza sbandare su un sentiero
di sviluppo più consono ai traguardi già raggiunti e l’India risulta più dinamica (ma ha stazza e
redditi molto minori). Brasile e Russia restano in recessione, il primo messo assai peggio della seconda.
Tutto ciò condiziona l’andamento delle esportazioni italiane, nonostante la vitalità imprenditoriale
(come l’ha chiamata il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco) consenta di far espandere le vendite
all’estero più dei mercati di riferimento e innalzi il valore unitario dei prodotti.
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L’export è l’unica componente della contabilità italiana a essere tornata sopra i livelli del 2007; negli ultimi
anni ha sostenuto PIL e occupazione; cede ora il testimone alla domanda interna.
Le nuove previsioni CSC sul PIL italiano sono di +0,8% nel 2016 e +0,6% nel 2017. Nel biennio sarà
creata occupazione per 250mila unità di lavoro, che portano a +650mila il totale da quando sono ricominciate
ad aumentare; ne mancheranno ancora 1,37 milioni per colmare la voragine causata dalla crisi.
.
Questi risultati positivi, ma certo non entusiasmanti, sarebbero del tutto compromessi dalle conseguenze
della bocciatura della riforma costituzionale al referendum confermativo.
Il CSC ha delineato uno scenario alternativo che parte da tale responso delle urne. Rispetto alle tendenze
in atto, l’economia italiana perderebbe in tre anni 4 punti percentuali di PIL, 17 punti di investimenti
e quasi 600mila unità di lavoro; nel 2019 il debito pubblico sfonderebbe quota 144% del PIL. Il
reddito pro-capite diminuirebbe cumulativamente di 590 euro e ci sarebbero 430mila poveri in più. Si
tratta di calcoli conservativi, che largamente sottostimano i veri effetti che si materializzerebbero.
Il Paese, già estremamente provato, dovrebbe fronteggiare una nuova grave emergenza economico-sociale,
con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche.
Proprio perché fuori minaccia tempesta, l’Italia dovrebbe puntare ad attrezzarsi e a diventare più solida,
anziché confermare le proprie storiche debolezze.
Il rapporto completo e le slide di presentazione di Luca Paolazzi sono disponibili ai seguenti link: report completo e slide.
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