La perdita di capacità produttiva del manifatturiero italiano nella crisi
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Questioni di Economia e Finanza di Banca d'Italia.
L’effetto della doppia recessione sulla capacità produttiva del manifatturiero italiano.
Tra il 2007 e il 2013 il manifatturiero italiano ha perso, in aggregato, tra l’11 e il 17% della propria capacità produttiva.
Banca d’Italia fa il punto sulla perdita di capacità produttiva del manifatturiero italiano a causa della crisi: tra il 2007 e il 2013 dal -11% al -17% per cento a seconda dei metodi di stima utilizzati. La perdita è addirittura del 20% se si considera uno scenario controfattuale, ossia se si prende in esame quello che sarebbe stato l’andamento del prodotto potenziale in assenza della crisi.
La perdita di prodotto potenziale risulta molto differenziata tra i diversi comparti del manifatturiero:
- performance peggiori su gomma-plastica e prodotti non metalliferi, legno e metallurgia;
- andamento pressoché stazionario per l’agroalimentare;
- mentre il farmaceutico registra addirittura un aumento di capacità produttiva di che va dal +10 al +22%, a seconda del metodo di stima utilizzato.
Dal punto di vista dei singoli fattori di produzione, circa il 60% del calo di capacità produttiva sperimentato nel 2007-2013 è legato al lavoro, il 15% al capitale e il 25% al residuo dato dalla produttività totale del fattori (TFP). Il maggior impatto del lavoro è legato innanzitutto al suo maggior peso nella funzione di produzione (70% circa).
Figura 1 - Contributi alla dinamica del prodotto potenziale
(var % su base annua)
Fonte: Banca d'Italia
Al calo complessivo hanno contribuito diversi fattori: al di là della composizione settoriale, hanno pesato negativamente piccola dimensione e chiusura verso i mercati esteri.
Le imprese più grandi hanno meglio evitato le contrazioni di capacità più acute, specialmente nel corso della prima fase della crisi. Infatti, la riduzione è di quasi il 12% per le imprese con più di 50 addetti, e superiore al 20% per le imprese di minori dimensioni. Se poi si tiene conto dell’uscita dal mercato di numerose imprese, il calo sulle piccole imprese “sopravvissute” è stimato al 15%.
Altro fattore discriminante risulta l’apertura verso i mercati esteri. Nel biennio 2008-2009 le imprese export-oriented hanno perso ben più delle domestiche (-12,5% vs. -3,2%), per poi recuperare lievemente nei due anni successivi. Il brusco calo della domanda interna che ha caratterizzato la seconda ondata della crisi (2011-2013) ha successivamente portato a una diminuzione di capacità produttiva superiore al 13% per le domestiche, quasi nulla per le esportatrici. Complessivamente, tra il 2007 e il 2013 le imprese domestiche hanno perso il 18,5% di capacità produttiva, mentre le esportatrici l’11,6%.
A livello territoriale, le imprese del Centro hanno complessivamente attraversato meglio la doppia recessione (diminuzione del prodotto potenziale pari al -7,1%, fronte di un -12,6% circa al Nord e un -11,1% al Sud). Al Nord, ha influito negativamente, nella prima fase della crisi, la forte internazionalizzazione delle imprese. Al Sud, una maggior presenza di piccole imprese e un più drastico calo della domanda interna.
I report di Banda d'Italia, da qui è tratta questa sintesi, sono scaricabili dai seguenti link:
An inquiry into manufacturing capacity in Italy after the double-dip recession
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