L’impatto dell’emergenza Covid-19 sul lavoro (Eurofond)
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Report Eurofond.
Le chiusure (o le limitazioni) che hanno interessato molte attività economiche durante la pandemia di COVID-19 hanno avuto un impatto di vasta portata sul mercato del lavoro: la perdita di posti di lavoro e la diminuzione di ore lavorate all'inizio della pandemia è stata maggiore di quella registrata durante la crisi finanziaria globale del 2008-2010.
Le categorie di lavoratori più colpite dall’emergenza Covid-19 sono state principalmente quelle dei lavoratori temporanei, dei giovani lavoratori e delle lavoratrici a bassa retribuzione.
Gli effetti sono stati in parte attenuati grazie al ricorso – concesso a tutti quei lavoratori per cui è stato possibile - al lavoro a distanza.
Eurofound[1] ha diffuso il rapporto ‘What just happened? COVID-19 lockdowns and change in the labour market’, che descrive dell'occupazione e dell'orario di lavoro nell'UE durante il primo anno della crisi ed esamina le differenze in base al settore e all'occupazione.
Gli effetti sull’occupazione
L’analisi evidenzia che l'occupazione è diminuita drasticamente nell'UE e in tutti gli Stati membri all'inizio della crisi nel secondo trimestre del 2020, ma il calo si è successivamente attenuato: da -5 a -3 milioni di posti di lavoro (rispetto all’anno precedente) tra il II e il IV trim 2020.
La riduzione degli organici ha contribuito solo in parte al calo di ore lavorate, dovuto in parte all’assenza forzata di lavoratori in forza.
I lavoratori con contratti a tempo determinato hanno rappresentato oltre i tre quarti della perdita netta di posti di lavoro in tutti i trimestri del 2020.
Il calo dell'organico è stato più marcato tra i giovani lavoratori e le lavoratrici a bassa retribuzione (quelle del quintile di lavoro-salario più basso). Queste erano anche le categorie di lavoratori con maggiori probabilità di essere licenziati a causa della pandemia.
Le categorie di lavoratori che erano più vulnerabili nel mercato del lavoro prima della pandemia hanno sperimentato un peggioramento delle loro condizioni socioeconomiche. Sebbene le misure di protezione dell'occupazione e di sostegno al reddito siano state estese per coprire, ad esempio, alcuni lavoratori autonomi e temporanei, tale sostegno era contingente e temporaneo. Schemi di protezione sociale più ampi e inclusivi potrebbero fungere da cuscinetto contro il recupero intermittente del lavoro.
I settori più colpiti dal calo dell'occupazione e delle ore lavorate sono stati quelli in cui l'attività è cessata a seguito dei lockdown imposti dal governo, ad esempio hotel e ristoranti: per questo Grecia, Italia e Spagna sono stati i paesi più colpiti.
La perdita di occupazione, però, in alcuni paesi si è sorprendentemente avuta anche in settori "essenziali" - produzione alimentare, salute e servizi di pubblica utilità - o "principalmente essenziali".
I cali più gravi dell'orario di lavoro e dell'occupazione del personale sono stati registrati nelle occupazioni non remotizzabili come i lavori nei servizi e nelle vendite, le occupazioni elementari e le professioni dei colletti blu.
Le categorie occupazionali degli impiegati con la possibilità di lavoro da remoto (con l'eccezione della categoria dei dirigenti) sono state meno colpite da tali cali.
C'è stata una notevole enfasi in tutti gli Stati membri sul mantenimento del rapporto di lavoro durante la crisi in previsione di una rapida ripresa. Aumenti molto modesti del tasso di disoccupazione a livello aggregato dell'UE sono, in gran parte, una conseguenza dell'attuazione generalizzata di regimi di tutela dell'occupazione (lavoro a orario ridotto e licenziamenti).
Le indicazioni sulla carenza di manodopera nei settori in cui l'attività è stata limitata o interrotta durante la crisi suggeriscono che i disallineamenti tra domanda e offerta di lavoro continueranno, anche se i mercati del lavoro stanno tornando a livelli operativi più normali
Gli effetti sul lavoro da remoto
La quota di lavoratori che ha svolto la sua attività da casa durante la pandemia è risultata molto superiore a quella - relativamente marginale - che lo faceva regolarmente prima della crisi. I sondaggi condotti durante l’emergenza hanno stimato percentuali tra il 20 e il 60%, a seconda del paese. I dati ufficiali dell'indagine sulla forza lavoro dell'Unione europea hanno indicato valori molto più modesti, con il 21% dei lavoratori che ha operato da casa almeno una parte del tempo nel 2020.
Nel rapporto vi è anche una stima della quota potenziale di lavoratori nelle condizioni di lavorare da remoto, messa a confronto con quelli reali e quelli che si sono registrati nel corso della pandemia. L’Italia viene accreditata rispettivamente di un potenziale[2] 36%, a fronte di un 1% reale e dell’11,1% durante l’emergenza (le percentuali si riferiscono al totale degli occupati).
Molto dibattuta è la questione degli effetti sulla produttività del lavoro da casa durante la pandemia: le valutazioni sono svariate, ma generalmente sono basate sull'autodichiarazione dei dipendenti o sulla valutazione soggettiva del datore di lavoro, e quindi non oggettive.
La considerazione più importante attiene all’importanza della vicinanza sociale per l'innovazione e la creatività, fattore che le teorie considerano alla base del dinamismo economico sia delle imprese di successo che delle grandi città. Il diffuso scetticismo delle aziende sul lavoro da casa spesso considera le difficoltà che il lavoro a distanza può comportare per la collaborazione, il lavoro di squadra e il networking.
D’altra parte molte aziende durante la crisi hanno preconizzato maggiori possibilità per il lavoro da casa, alcune addirittura annunciando la possibilità di lavorare da casa "per sempre"; molte altre, viceversa, richiamano i dipendenti in ufficio a causa di problemi di produttività. Molto diffusa è anche l’opinione che il problema sia la capacità limitata dei manager di esercitare un controllo diretto e di supervisionare i lavoratori a distanza, cioè dei capi di essere capi.
Il report completo è disponibile al seguente LINK.
[1] Eurofound è l’agenzia dell’UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che produce report annuali di monitoraggio.
[2] La quota potenziale è stata stimata partendo da un indice di remotizzazione per figura professionale, applicato alla composizione per mansione dei singoli paesi.
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