Il futuro del lavoro dopo il Covid-19
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Analisi di McKinsey Global Institute.
In sintesi
The future of work after Covid-19 (McKinsey Global Institute): a causa dei problemi di salute e sicurezza generati dalla pandemia, la dimensione fisica dell’attività svolta diventa un fattore importante per valutare le sue prospettive
McKinsey ha diffuso il suo ultimo rapporto su ‘The future of work after Covid-19', che esamina l'impatto a lungo termine del COVID-19 sul lavoro in diversi ambiti lavorativi. Per farlo prende in considerazione otto importanti economie con mercati del lavoro diversi: Francia, Germania, Spagna e Regno Unito in Europa, Giappone, Stati Uniti, Cina e India.
Ai fini della ricerca le occupazioni vengono raggruppate in 4 categorie in base alla vicinanza fisica, alla frequenza delle interazioni umane e al luogo in cui viene svolto il lavoro:
• luoghi di svago e di viaggio (inclusi ristoranti e hotel), che impiegano più di 60 milioni negli otto paesi;
• interazione con i clienti in presenza compresi vendita al dettaglio e ospitalità (150 milioni);
• lavoro d'ufficio basato su computer (300 milioni);
• produzione e stoccaggio (oltre 350 milioni).
In questi 4 ambiti si concentra il 70% della forza lavoro delle 6 economie avanzate considerate dalla ricerca, il 60% della Cina e il 40% dell’India.
Parte dei cambiamenti indotti dall’emergenza potrebbero rimanere sul lavoro a distanza (in forma “ibrida”): dal 20 al 25% dei lavoratori nelle economie avanzate e circa il 10% nelle economie emergenti - principalmente concentrati nel gruppo di occupazioni inserite nel lavoro d'ufficio basato su computer - potrebbe lavorare da casa dai tre ai cinque giorni alla settimana. Significa 4/5 volte in più rispetto al periodo pre-Covid.
Questo significa riduzione della domanda di trasporto, dell’uso di ristoranti e della vendita al dettaglio nei centri urbani; inoltre implica una crescita della quota del commercio elettronico e della delivery economy.
Tra gli effetti della pandemia, anche l’accelerazione del processo – già in atto precedentemente - di automazione e ricorso all'intelligenza artificiale: le aziende hanno implementato queste soluzioni per far fronte ai lockdown durante l’emergenza COVID-19 e potrebbero decidere di adottarle più velocemente, mettendo più robot negli impianti di produzione e nei magazzini e aggiungendo chioschi self-service per i clienti e robot di servizio nei luoghi di interazione con i clienti.
Le grandi città potrebbero essere tra le più interessate da questo cambiamento, poiché il lavoro a distanza riduce la domanda di trasporti, vendita al dettaglio e servizi di ristorazione e le città più piccole, che erano in declino prima della pandemia, potrebbero trarne vantaggio.
Un altro importante effetto post pandemia potrebbe essere l’aumento della frequenza di cambiamento del posto di lavoro e una diminuzione della quota di occupazione nelle categorie di lavoro a basso salario.
La ricerca stima che oltre 100 milioni di lavoratori negli otto paesi potrebbero dover cambiare lavoro entro il 2030, pari al +12% rispetto a prima del virus (con punte del +25% nelle economie avanzate): i lavoratori senza una laurea, le donne, le minoranze etniche e i giovani potrebbero essere i più interessati.
Nella maggioranza dei casi cambiare il posto di lavoro implica significa acquisire nuove competenze.
Per poter passare a occupazioni in fasce salariali più elevate i lavoratori dovranno acquisire tanto skills sociali ed emotive, quanto skills tecnologiche: analoga indicazione emerge dalla recente ricerca condotta da Assolombarda e l’Università Cattolica su “Le professioni del futuro”.
L'analisi è disponibile al seguente LINK.
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