competitività dei settori produttivi ISTAT ed 2021
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Report annuale ISTAT.
Effetti della pandemia sul PIL e sui flussi commerciali delle principali economie
Tutte le principali economie mondiali sono state interessate da una fase recessiva, relativamente meno intensa negli Stati Uniti (-3,5%) rispetto all’area euro (-6,6%); fa eccezione la Cina, l’unica economia ad aver registrato una crescita del Pil (+2,3%). La contrazione del PIL annuo nel 2020 è stata di diversa intensità nei Paesi europei: -11,0% Spagna, -8,9% Italia, -8,1% Francia, -4,9% Germania, dove la domanda interna si è ridotta in misura minore rispetto a quella degli altri Paesi.
Tuttavia, per la prima volta dal 2009, in Germania si è registrata una forte riduzione delle esportazioni e delle importazioni di beni e servizi (-9,4 e - 8,5%). Più marcata la flessione in Francia (-16 e -11%) e, soprattutto, in Spagna (-21 e -17%). Anche in Italia i flussi commerciali sono stati caratterizzati da una flessione delle esportazioni e delle importazioni (-13,8 e -12,6%). Nonostante il calo registrato, l’Italia non sembra avere perso competitività sui mercati esteri grazie alla capacità di competere con successo su prezzi e qualità dei beni e alla struttura merceologica e geografica delle loro esportazioni: i prodotti di punta del modello di specializzazione italiano non hanno perso peso sulle importazioni mondiali mentre i mercati di destinazione delle nostre merci non hanno perso dinamismo rispetto a quelli dei paesi concorrenti.
Quote di mercato dell’Italia per mercato di destinazione (valori %)
Calo del fatturato: ampie differenze tra settori produttivi
Lo shock causato dalla pandemia emerge con particolare evidenza dai dati di fatturato.
Il calo del fatturato annuo risulta leggermente più accentuato per i servizi rispetto alla manifattura, ma è proprio nel terziario che la pandemia ha manifestato gli effetti più severi, in particolare nei comparti legati al turismo.
Nel 2020 l’indice in valore del fatturato della manifattura ha registrato un calo dell’11,1% rispetto al 2019, con diminuzioni analoghe sul mercato interno (-11,1%) e su quello estero (-11,3%). Il calo ha riguardato pressoché tutti i settori, ma e stato più deciso nei prodotti della raffinazione (-34,7%), nelle filiere del tessile-abbigliamento-pelli (tra il -15 e il -30%) e nei comparti di metallurgia, prodotti in metallo, stampa, macchinari e autoveicoli, con contrazioni superiori al 10% dovute soprattutto (ad eccezione della metallurgia) al ridursi della domanda estera.
La crisi ha colpito duramente il fatturato del terziario (-12,1%), in particolare quello dei comparti legati al turismo (agenzie di viaggio -76,3%, trasporto aereo -60,5%, alloggio e ristorazione -42,5%). Dei mutamenti nei comportamenti sociali causati dalla pandemia hanno tuttavia beneficiato i servizi postali/attività di corriere (+4,4%) e quelli dei servizi di informazione (+1,8%). Un approfondimento sui settori legati al turismo evidenzia come il 2020 sia stato l’anno peggiore da quando si registrano i flussi turistici (-74% di presenze a livello globale, -59,2% di arrivi totali in Italia), dopo un 2019 particolarmente brillante. Della riduzione della domanda turistica hanno risentito soprattutto le grandi citta (-74% di presenze nelle strutture ricettive).
Effetti della crisi: imprese a rischio vs imprese solide
Secondo i risultati delle indagini su “Situazioni e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria COVID-19”, a fine 2020:
• oltre due terzi delle imprese registrava cali di fatturato rispetto al 2019
• il 62 per cento prevedeva ricavi in diminuzione anche nei primi sei mesi del 2021
• il 32 per cento riteneva compromesse le proprie possibilità di sopravvivenza
• meno di una su cinque ha segnalato di essere stata sostanzialmente risparmiata dalla crisi
Alla crisi le imprese hanno reagito in modo molto differenziato. Circa il 30% è rimasto “spiazzato”, non avendo ancora attuato una strategia di difesa; un quarto ha reagito introducendo nuovi prodotti, diversificando i canali di vendita e di fornitura (anche attraverso il passaggio a servizi on line e di e-commerce) e intensificando le relazioni produttive con altre imprese. Un quinto ha riorganizzato profondamente processi e spazi di lavoro, orientandosi verso la transizione digitale o l’adozione di nuovi modelli di business. L’esigenza di distanziamento sociale e l’affermarsi dello smart working hanno infine favorito la diffusione di investimenti in server cloud e postazioni di lavoro virtuali e di quelli in software per la gestione condivisa di progetti.
Una “mappa del rischio strutturale ” del sistema produttivo, elaborata a partire dalle indagini sugli effetti della crisi, indica che il 45% delle imprese con almeno 3 addetti (rappresentative del 20,6% dell’occupazione e del 6,9% del valore aggiunto complessivi) è a “rischio strutturale”: esposte a una violenta crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività. Queste imprese sono numerose nei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza. Solo l’11% è solido, ma genera il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto totali.
Effetti della crisi nei territori
secondo le rilevazioni ISTAT, in base (i) alla dinamica del fatturato nel 2020, (ii) all’eventuale presenza di rischi operativi e di sostenibilità, (iii) alla capacità di attuare strategie di risposta, le imprese possono essere classificate per rischio operativo Alto, Medio-alto, Medio-basso e Basso.
In Italia l’8,9 per cento delle imprese risulta ad Alto rischio e un altro 39,6% è a rischio Medio-alto.
In 11 regioni almeno la metà delle imprese presenti sono a rischio Alto o Medio-alto:
• 7 sono nel Mezzogiorno (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia);
• una al Nord (Provincia autonoma di Bolzano);
• 3 nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana).
Il report completo e il materiale messo a disposizione da ISTAT sono disponibili al seguente LINK.
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