-10% il PIL italiano nel 2020 secondo il CSC

Rapporto di previsione del CSC.

Il quadro economico attuale e le previsioni 2020-2021 del CSC.

La dimensione del cratere del meteorite Covid-19 comincia ad essere evidente. Le previsioni 2020 del Centro Studi Confindustria per l’Italia sono leggermente più pessimistiche del quadro disegnato nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef): -10,0% il PIL, -11,1% i consumi delle famiglie, -15,8% gli investimenti fissi lordi, -14,3% le esportazioni. Per il 2021 le stime sono invece allineate ed è previsto un recupero parziale del PIL pari al +4,8% (senza manovra Nadef) e al +5,7% (con manovra Nadef).

Questa crisi riporta l’Italia indietro di alcuni decenni, con il PIL pro capite che torna sui livelli del 1994. Peraltro, la crisi Covid-19 si innesta sulla Grande Crisi 2008-2009, la cui caduta non era ancora stata recuperata: a fine 2019 il PIL italiano era ancora inferiore ai livelli 2008 di circa il 3% e a fine 2021 sarà ancora sotto di 7-8 punti percentuali.

imm1 - previsioni CSC

Nel quadro economico più recente ci sono segnali positivi di ripresa da evidenziare. Il dato di agosto di produzione industriale rilasciato ieri dall’Istat ha sorpreso in positivo (+7,7% rispetto a luglio, -0,3% rispetto ad agosto 2019), portando l’Italia, che aveva subito il crollo maggiore dopo il lockdown, prima tra i maggiori Paesi europei ad aver superato i livelli pre-Covid. Tuttavia, nei primi otto mesi del 2020 la produzione risulta in calo del -15,4% rispetto allo stesso periodo del 2019 (-12% la contrazione stimata nel complesso per il 2020, inferiore al -18,7% registrato nel 2009).

imm2 - indice prod ind
Nei servizi il recupero è più lento. Particolarmente critica è la situazione del settore turistico, che pesa per il 6% del PIL italiano e circa il doppio con l’indotto. Gli effetti drammatici della pandemia si leggono nei numeri: -68% la domanda a gennaio-giugno 2020 rispetto al 2019 (-77% le presenze estere), -65,1% il fatturato, -49,7% il tasso di occupazione delle camere ad agosto, ancora chiusi il 10% degli alberghi.

Per il quarto trimestre 2020 e in prospettiva, le preoccupazioni e l’incertezza sulla ripresa italiana riguardano, dunque, principalmente i servizi, ma anche le esportazioni su cui pesa il rischio di seconde ondate della pandemia a livello globale. Nel 2020 è previsto un calo dell’export di beni del -10,0% e dei di servizi intorno al -30%. Quest’anno la dinamica dell’export italiano di beni sarà peggiore di quella degli scambi mondiali, data la particolare debolezza dei principali mercati di destinazione (Europa e Stati Uniti) e di alcuni settori di specializzazione (macchinari e tessile).

I drammatici cali di attività produttiva stanno avendo un impatto pesante anche sul mercato del lavoro. Nella media dei primi due trimestri del 2020, il calo di ore lavorate pro-capite è pari al -13,5%, mentre il numero di persone occupate scende solo dell’1,5% (dato l’imponente ricorso alla CIG). Nel complesso del 2020 il numero di occupati diminuirà di circa -410mila unità rispetto al 2019 (calo concentrato principalmente nei servizi privati e nei contratti a termine). Per il 2021, con un recupero incompleto del PIL come previsto, si attendono altri -230mila occupati.


Il quadro della finanza pubblica

Il quadro di finanza pubblica previsto dal CSC è in linea con la Nadef. Le risorse per far fronte all’emergenza Covid-19 sono molto rilevanti (100 miliardi circa) ed entro fine anno si stima un pieno impiego (almeno il 95%), di cui circa 1/3 destinate al sostegno del lavoro, 1/3 a famiglie e imprese e la restante parte afferente a specifici settori, enti territoriali e ulteriori disposizioni.

I nodi della crescita italiana nel medio-lungo periodo

Dai primi anni ‘90 l’Italia si è progressivamente allontanata dal gruppo dei principali Paesi europei. In 30 anni (1991-2021) il PIL italiano ha accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna.

imm3 - investimenti
I nodi della crescita italiana nel medio-lungo periodo:
1. Investimenti: è mancata la componente pubblica;
2. Produttività: sostanzialmente ferma dal 1996 nel totale economia. Pesa la dinamica dei servizi, mentre l’industria, dopo la crisi del 2008, ha dato un contributo importante e positivo;
3. PA: minore efficacia nel confronto internazionale (v. dati della Banca Mondiale sul ‘doing business’);
4. Ore lavorate: nel 2019 ancora lontane dai massimi del 2007.


Focus Industria 4.0

Il CSC, insieme al Dipartimento finanze del MEF, ha studiato gli effetti del programma di Industria 4.0. Gli investimenti innescati sono pari a 10,2 miliardi nel 2017 e a 15,2 miliardi nel 2018 secondo stime preliminari, con medie e piccole imprese i primi beneficiari. Importante sottolineare che, tra le imprese che hanno beneficiato dell’iperammortamento, la quasi totalità (85%) non aveva fatto investimenti in tecnologie 4.0 prima del 2017, a riprova dell’importanza di questo strumento di politica industriale per spingere una parte del sistema produttivo italiano verso un nuovo paradigma.
Anche l’impatto stimato sull’occupazione è forte, con un effetto maggiore tra le grandi imprese e al Sud, e la forza lavoro è qualificata (soprattutto ‘tute blu’ specializzate). Per la rivoluzione digitale, emerge fondamentale la componente istruzione (es. ITS, solo 15-16 mila iscritti in Italia, ma occupabilità oltre l’80% e con un matching eccezionale, tanto che il 92% degli studenti è poi impiegato in un ambito di lavoro coerente con il corso).

Il report completo è disponibile al seguente LINK.

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