"Nucleare subito o rischiamo la deindustrializzazione"
L'intervista di Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda, su Il Corriere della Sera.
L'allarme lanciato dagli industriali di Milano (ma anche di Lodi, Pavia, Monza e Brianza) è di quelli seri. Forse proprio per questo Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, prima territoriale di Confindustria, ci arriva per gradi. A chi gli chiede della congiuntura economica, Spada parte con una buona notizia: «Nonostante due conflitti in corso, anche l'Ue ha alzato le stime di crescita dell'Italia allo 0,9% quest'anno - osserva -. La crescita italiana ha sorpreso in positivo nel 2023, non solo ha superato i modesti ritmi pre-pandemia, è stata anche pari al doppio di quella media dell'Eurozona».
Certo, se si allunga l'orizzonte temporale, però, si scopre che solo oggi siamo tornati ai livelli di Pil pre Lehaman Brothers, cioè prima della crisi del 2008...
«Questo è vero ma io sono più preoccupato di quello che ci aspetta di qui in avanti. La nostra industria si è rialzata ma potrebbe trovare seri ostacoli lungo il cammino. Penso in particolare alla questione dell'energia».
L'Italia ha sempre avuto una disparità di costo dell'energia rispetto agli altri Paesi.
«Dopo la pandemia, però, la situazione è peggiorata. È vero, abbiamo ricostituito gli approvvigionamenti facendo a meno del gas russo. Ma i prezzi sono più alti, anche perché una buona fetta di queste forniture è costituita da Gnl, gas naturale liquefatto. Il risultato è che il costo dell'energia per le imprese italiane è strutturalmente superiore almeno del 30% rispetto a quello di Germania e Francia e il costo pagato dalle imprese europee in certi periodi è arrivato a essere addirittura 7 volte più che in Usa e in Cina. Il costo dell'elettricità resta più alto in Italia perché frutto della generazione termoelettrica da gas naturale».
Vie d'uscita?
«La prima è, come suggeriscono le linee guida del B7 di Confindustria che verranno presentate oggi alla presidenza italiana del G7, un convergenza a livello Ue sul mercato unico dell'energia e su un prezzo competitivo unico».
Sull'energia come sul fisco l'Europa è un'idea, ogni Paese pensa per se...
«Per questo nell'attesa che qualcosa cambi dobbiamo puntare sul nucleare».
Nessuno vorrebbe una centrale nucleare vicino a casa propria.
«Perché non si conoscono le cose. Pensiamo ancora alle centrali degli anni Ottanta quando oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante sul fronte della sicurezza e della gestibilità di questi impianti. Che per di più porterebbero lavoro nei territori: si parla di oltre mezzo milione di posti entro il 2050. Ma bisogna partire subito: solo partendo subito potremmo avere le prime centrali nel 2030-2031. Serve al più presto inserire il nucleare nel Pniec (il Piano nazionale integrato dell'energia e del clima, ndr;). Solo così potremo avere l'energia necessaria a gestire la transizione e la digitalizzazione».
L'alternativa?
«Le rinnovabili vanno sviluppate ma non bastano. L'alternativa è una lenta deindustrializzazione. Anche perché i bisogni di energia stanno aumentando a dismisura con la digitalizzazione: secondo l'Aie il consumo energetico dei data center potrebbe passare dai 460 terawattora del 2022 ai 1.050 del 2026».
Cosa possono fare le imprese per il nostro Paese? Investire di più?
«Siamo pronti a farlo. Mi permetta di lanciare un appello: si emanino al più presto i provvedimenti necessari all'attuazione del credito di imposta Industria 5.0. È una norma sicuramente positiva, ma che agevolerà solo gli investimenti del 2024 e del 2025. Abbiamo già "sprecato" quasi sei mesi del 2024».
Come giudica questa campagna elettorale?
«Se vogliamo reggere in un mondo in cui le partite si giocano a livello continentale abbiamo bisogno di un salto in avanti nel progetto politico europeo. Mi colpisce che tutta la discussione sia girata attorno ad aspetti mediatici. Trascurando troppo spesso le competenze dei candidati e il merito delle questioni chiave per le imprese».
Azioni sul documento